
Individuo, società e svolte autoritarie – di Alvise Marin
Esistono condizioni psicologiche, familiari, sociali e tecnologiche favorevoli all’instaurarsi di una forma politica autoritaria e di quella più estrema totalitaria? Esiste un potenziale fascista in ognuno di noi oppure il “fascismo potenziale” si dà solo in presenza di una determinata struttura di personalità, quella autoritaria studiata dalla scuola di Francoforte nella prima metà del secolo scorso? Un tipo di personalità, quest’ultima, caratterizzata da un insieme di atteggiamenti, credenze e comportamenti che riflettono una forte inclinazione verso l’autorità, la disciplina e il conformismo, insieme a una tendenza a disprezzare o discriminare chi viene percepito come diverso o inferiore. E in società ipermoderne, globalizzate e digitalizzate come le nostre, non più disciplinari ma del controllo ubiquitario algoritmico, società che oggi potremmo definire con Bernard Stiegler automatiche è ancora rinvenibile quel modello di personalità? Se sì, con quali invarianti e differenze all’interno di habitat sociali modellati dalla tendenziale concentrazione degli esseri umani in centri urbani in sempre più veloce espansione, la diffusione planetaria di artefatti digitali e l’innervazione globale della superficie terrestre e dello spazio di infrastrutture tecnologiche? Più in generale come si sta oggi riconfigurando il soggetto individuale, ridotto a terminale di comunicazione, nodo funzionalmente integrato di una struttura reticolare che lo ridefinisce continuamente attraverso flussi di sollecitazioni infoneurali ai quali reagisce secondo modalità pavloviane? E quello collettivo, sempre più sostituito da aggregazioni volatili e temporanee come quelle di uno sciame? Qual è la temperie psicosociale che in una fase di crisi sistemica del capitalismo, favorisce un ulteriore allentamento delle regole democratiche nella direzione di torsioni autoritarie diffuse, che hanno lo scopo di creare un ambiente adeguato all’ennesima ripartenza del capitalismo stesso?
Negli anni Venti e Trenta del ‘900 alcuni studiosi neomarxisti tedeschi si erano interrogati sulle ragioni per cui la società borghese tedesca era sopravvissuta alla crisi rivoluzionaria del 1914-19 e su quelle del fallimento di quest’ultima. Dopo la salita al potere di Hitler nel 1933 a questa domanda se ne era associata un’altra: perché i lavoratori tedeschi non si erano opposti duramente al fascismo quando invece nelle urne lo avevano bocciato, essendo consapevoli che non avrebbe fatto i loro interessi materiali? Una spiegazione in termini di sola “egemonia culturale” non risultava sufficiente a dar conto di come la coercizione potesse venire interiorizzata dalla psiche dei singoli e l’introiezione dell’autorità rendere accettabile all’uomo comune «l’idea del necessario dominio di alcuni sui più influenzando non soltanto la mente, le idee, i concetti e i giudizi fondamentali, ma anche la vita interiore, le preferenze e i desideri» (Horkheimer 1974 in Lasch p. 87). Questa corrente di pensiero riteneva che ogni società riproduca i modelli caratteriali più adatti al suo funzionamento non solo attraverso direttive e norme esplicite, ma anche con il condizionamento psichico dei singoli nella sfera del desiderio e del pensiero inconscio. Tra gli agenti di questa riproduzione, oltre la scuola e le altre agenzie formative, c’era la famiglia quale nucleo dentro cui i fantasmi inconsci dei genitori si trasmettevano ai figli. La famiglia reprimendo o indirizzando verso mete socialmente accettabili le pulsioni del bambino, segnatamente quelle sessuali, ne modellava allo stesso tempo l’Io e il Super-Io.
Secondo Erich Fromm nella società patriarcale degli anni Venti e Trenta del ‘900 la famiglia fungeva da crogiolo di un tipo di individuo, quello “patricentrico” o “autoritario”, caratterizzato da un «Super-Io rigido, sentimenti di colpa, amore docile per l’autorità paterna, desiderio e piacere nel dominare persone più deboli, accettazione della sofferenza come punizione per la propria colpa e una capacità compromessa di raggiungere la felicità» (Fromm 1979, p. 112). Se la famiglia patriarcale fosse stata la culla del “carattere autoritario”, i risultati di uno studio sul campo condotto presso la classe operaia tedesca avrebbero dimostrato che solo circa il 10% possedeva un profilo caratteriale di tipo autoritario, il 15% democratico o rivoluzionario e il restante una combinazione dei due. Secondo Fromm la storia politica successiva avrebbe confermato l’ipotesi che gli individui con il primo profilo sarebbero diventati ferventi nazisti, quelli con il secondo antinazisti e quelli con il terzo non avrebbero assunto alcuna posizione precisa. Se da questo studio emergeva che la maggioranza degli operai tedeschi più che una struttura caratteriale autoritaria, sembravano averne una mista, caratterizzata da un atteggiamento indifferente, Christopher Lasch si chiede come mai ci sia stata un’adesione generale così facile al fascismo. A Lasch si potrebbe rispondere che oltre certi limiti silenzio e indifferenza risultano essere i sintomi più classici della «banalità del male» ed equivalgono a complicità nei crimini.
A sua volta la ricerca di Adorno e colleghi, La personalità autoritaria (1950), condotta negli anni Quaranta negli USA, sulla scorta delle precedenti elaborazioni teoriche di Reich e Fromm, era uno studio empirico che intendeva indagare quali fattori psicologici e sociali fossero all’origine dell’anti-semitismo e più in generale dell’autoritarismo, segnatamente quello fascista. I risultati dell’indagine quantitativa e qualitativa su di un campione di circa 2000 americani di estrazione sociale e professionale diverse, si condensarono in alcuni tratti di quella che era stata concettualizzata come personalità autoritaria. Adorno e il suo team identificarono alcune caratteristiche della famiglia che tendevano a promuovere la formazione di personalità autoritarie nei figli: tra queste una struttura gerarchica rigida e repressiva nella quale obbedienza e sottomissione erano valori primari; l’educazione spesso impartita attraverso punizioni anche severe che tendeva a inculcare nei figli un senso di paura e sottomissione verso l’autorità, ma allo stesso tempo generava un risentimento represso; la distanza e l’anaffettività dei genitori che poteva portare i figli a interiorizzare sentimenti di insicurezza e a sviluppare un’identificazione e una dipendenza dall’autorità come fonte di protezione e guida. Gli effetti sulla personalità dei figli erano di un rispetto totale nei confronti delle autorità tradizionali e una passivizzazione e un conformismo nell’adesione a norme e regole emanate da queste. Una tendenza a voler dominare e punire chi si dimostrava meno forte, quale frutto di un risentimento nei confronti dei genitori, che non potendo essere espresso direttamente, veniva proiettato su gruppi esterni, e una insofferenza profonda nei confronti di chi non rispettava le regole. A questi si aggiungeva un’incapacità di sostenere l’ambivalenza emotiva e comportamentale umana e le stesse sfumature della vita, per far fronte alle quali si assumeva una rigida visione dicotomica della realtà in termini valoriali di bene/male, coraggio/viltà, forza/debolezza ecc. Inoltre, un pensiero stereotipato, intollerante e aggressivo declinato in una logica amico/nemico tendeva a discriminare ogni differenza e minoranza culturale, religiosa ed etnica e in generale chiunque non si conformasse ai valori dominanti.
Se i risultati di questi studi intendevano dimostrare come strutture familiari autoritarie generassero personalità autoritarie, si dava però il fatto che le società nelle quali erano stati condotti stessero in realtà allontanandosi da sistemi familiari autoritari. Per questo la risposta alla domanda sulle ragioni di una così facile ascesa del fascismo in Europa sembrava avere a che fare più con la decadenza dell’autorità patriarcale che con la sua forza: «la graduale erosione dell’autoritarismo e della famiglia autoritaria, proseguita per tutta la fase liberale della società borghese, ha avuto un risultato inatteso: la rinascita del dispotismo politico in una forma fondata non sulla famiglia ma sulla sua dissoluzione. Anziché liberare l’individuo dalla coercizione esterna, la decadenza della vita familiare lo assoggetta a nuove forme di dominio minandone contemporaneamente la capacità di opporvisi» (Lasch 1995, pp. 89, 91). La struttura caratteriale autoritaria si rivela essere il risultato di rapporti familiari segnati da una mancanza di legami affettivi e da una sottomissione filiale legata perlopiù a paura e interesse piuttosto che ad amore. Una struttura segnata quindi non tanto da una famiglia solida e forte quanto da una famiglia assente. Jacques Lacan nel 1938 confermava che i dittatori rappresentavano una reazione al crollo del sistema familiare tradizionale. Attraverso la loro autorità rigida e inflessibile, essi ristabilivano temporaneamente un senso di ordine e sicurezza sia per la borghesia sia per le masse, spaventate dalla perdita di stabilità. Queste ultime proiettavano nel despota il bisogno di una figura paterna che sembrava ormai svanita e della quale reclamavano il ritorno.
La temperie psichica, sociale e culturale europea tra fine ‘800 e inizi ‘900 risultava segnata da un «progressivo allentamento dei vincoli tradizionali, familiari e sociali […] in cui l’io appare labile e la civiltà esposta al rischio della decomposizione e tanto più imperioso diventa il bisogno di ancorarsi a saldi punti di riferimento, esterni alla coscienza di individui ormai infinitamente rassegnati a restare nel disorientamento e nell’impotenza». Quando la debolezza dell’Io diventa di massa e la sua disgregazione non è più riassorbile intimamente attraverso l’avvicendamento con un nuovo “Io egemone”1, quest’ultimo «viene gerarchicamente subordinato a un suo omologo esterno: il capo politico, che, giunto al potere, sostituisce l’“Io egemone” di individui ormai stremati – e, proprio per questo, dotati di fortissima “volontà di credere” – con un io egemone esterno» (Bodei 2002, p. 221). Nella massa che viene così a crearsi si ha una omogeneizzazione delle coscienze lungo una direttrice verticale di autorità che obliterandone la ragione, le trasforma in quella che Gustave Le Bon, verso la fine del XIX secolo, aveva chiamato «coalizione di sentimenti». Lo stato dell’individuo nella massa veniva così da lui sintetizzato: «annullamento della personalità cosciente, predominio della personalità incosciente, orientamento per via della suggestione e di contagio dei sentimenti e delle idee in un medesimo senso, tendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite: tali sono i principali caratteri dell’individuo in una massa. Egli non é più sé stesso, ma un automa diventato impotente a guidare la propria volontà» (Le Bon 2020, p. 13).
A partire da fine ‘800 e sempre più nei primi decenni del Novecento, il processo politico tenderà a identificarsi con la figura di un capo, nella direzione di progetti politici che coinvolgeranno le masse, allo scopo di scongiurare il collasso di una civiltà. Se le folle in Le Bon erano in qualche modo ancora fluttuanti, l’esperienza bellica della Grande Guerra, segnata da organizzazione e disciplina, sarà lo spartiacque che inaugurerà la vera e propria età delle masse. L’individuo come soldato viene accolto nell’esercito, «un immenso collettivo, una numerosa famiglia autoritaria e anonima, che tempra la sua individualità attraverso ordini e divieti proprio mentre ne dissolve l’autonomia». Secondo Bodei la desertificazione psichica e l’aggravamento della crisi economica e sociale post-belliche, produrranno in molti una forma mentis che sarà terreno fertile per l’ascesa dei totalitarismi: «le virtù della vita militare vengono così velocemente trapiantate nella vita civile: disciplina, abnegazione, esecuzione pronta e automatica degli ordini, disponibilità al sacrificio di sé» (Bodei 2002, pp. 222-224). L’intera società sembra assumere la configurazione di un esercito all’interno del quale la debolezza dell’Ego viene sostenuta dal Noi della massa organizzata. In quest’ultima il singolo non vale tanto per le sue qualità individuali, quanto per quelle virtù gregarie che si declinano in onore, fedeltà e spirito di sacrificio. La produzione antropologica di questo tipo umano serializzato non sarà però un’esclusiva dei regimi totalitari in quanto caratterizzerà, con modalità meno coercitive e violente, anche la fabbrica taylorista-fordista dei paesi liberali e democratici, nel suo disciplinamento spazio-temporale della forza lavoro.
Le società della prima metà del ‘900 sono ancora società disciplinari, nel senso attribuito da Michel Foucault a questo modello di organizzazione sociale. Società caratterizzate da meccanismi di controllo e normalizzazione che plasmano i corpi e i comportamenti degli individui. Istituzioni come scuole, prigioni, fabbriche e ospedali impongono regole rigide e una sorveglianza costante, ispirata al modello del Panopticon, portando gli individui ad auto-disciplinarsi. Il potere disciplinare non si limita a reprimere, ma produce soggettività, definendo ciò che è normale o deviante. Le fonti dell’autorità rimanevano in parte quelle tradizionali della famiglia, sebbene quest’ultima fosse in via di disfacimento, delle istituzioni considerate in generale legittime e di una religione sempre più secolarizzata. Le modalità organizzative si declinavano in termini di ordine, disciplina e gerarchia, mentre le vaste aggregazioni sociali delle metropoli in crescita, continuavano ad avere la consistenza della massa, la quale tendeva ad assumere sempre più il profilo di una folla solitaria2.
La stessa comparsa dei media audiovisivi analogici nel XX secolo, a partire dagli anni ‘20, aveva reso disponibili strumenti decisivi per la ripetizione incessante del pensiero rigido e stereotipato della propaganda fascista e nazista, la quale adunava folle oceaniche nelle piazze delle rispettive capitali. La loro diffusione creava nuove “masse artificiali”, coagulatesi a partire dal dettato ipnotico radiofonico dei regimi.
Queste masse diventeranno in seguito la configurazione sociale ordinaria e permanente delle democrazie industriali le quali, attraverso le industrie di programmi audiovisuali, diventeranno ben presto delle vere e proprie telecrazie (Stiegler 2019, p. 92). Le società disciplinari andranno irreversibilmente scomparendo nella seconda metà del XX secolo a mano a mano che le norme disciplinari perderanno efficacia e verranno sostituite da un soft power, il cui cavallo di troia sarà proprio il mezzo audiovisivo.
Questa transizione dalle società disciplinari a quelle del controllo3 porterà con sé forme più sottili di esercizio del potere e una sorveglianza più fluida e tecnologica.
Se la progressiva erosione delle strutture tradizionali dell’autorità era avvenuta a seguito di mutamenti nella sfera economica, politica e sociale, la diffusione di radio, cinema e poi della televisione, diventati strumenti in mano all’industria culturale, trasformeranno progressivamente le condizioni stesse della riproduzione psichica individuale e collettiva. Sincronizzando i tempi di coscienza individuale, la captazione dell’attenzione degli spettatori dei media audio-visuali di massa, condurrà a una standardizzazione diffusa della sensibilità. L’industria culturale e il marketing commerciale tenderanno a «deviare verso la televisione il processo d’identificazione primaria4 attraverso il quale i bambini ereditano dai loro genitori le capacità di diventare ciò che sono, ossia di regolare le loro identificazioni secondarie tramite cui sono in grado di trasformarsi adottando nuovi modi di vita […] Questo condurrà verso la «DESUBLIMAZIONE, che tenderà a liquidare la psiche stessa» (Stiegler, 2012, p. 99).
I media di massa, in particolare la televisione, favoriranno la creazione di una relazione diretta tra leader e pubblico, bypassando le strutture tradizionali di intermediazione sociale. I leader carismatici, in grado di “parlare” direttamente agli elettori, indeboliranno ulteriormente le istituzioni tradizionali, spostando l’attenzione dalla legittimità istituzionale alla loro immagine personale, nella direzione di una personalizzazione del potere.
Nel perimetro della famiglia, se il declino dell’autorità genitoriale portava con sé quello della sua funzione di modello ideale e normativo del bambino, allo stesso tempo però «le nuove condizioni della vita famigliare non inducono tanto un declino del Super-io quanto piuttosto una modificazione del suo contenuto. L’inadeguatezza dei genitori a fungere da modelli di autocontrollo […] non si traduce automaticamente in un’assenza di Super-io nel bambino che diventa adulto. Favorisce, al contrario, lo sviluppo di un Super-io rigido e punitivo basato in larga misura su raffigurazioni arcaiche dei genitori, amalgamate con grandiose rappresentazioni di sé. In queste condizioni, il Super-io consiste in immagini introiettate dei genitori piuttosto che in modelli di identificazione. Esso indica all’Io standard elevati di fama e successo e lo punisce con selvaggia ferocia quando si rivela inferiore agli standard proposti» (Lasch 1995, p. 200). L’Ego si coagula attorno alla propria immagine, cercando di corrispondere a un Io Ideale che in quanto irraggiungibile, genera quella frustrazione che alimenta un’aggressività rivolta in maniera oscillante dentro e fuori di sé. Depressione ed euforia si alternano, andando a configurare un profilo psicologico dai forti tratti narcisistici.
Nelle società contemporanee alla definitiva estinzione della famiglia patriarcale è seguito il disfacimento dello stesso principio paterno quello che, con l’imprinting della Legge di interdizione del desiderio incestuoso dell’Edipo, costituiva il modello di ogni autorità interna ed esterna, fungendo allo stesso tempo da Ideale di identificazione dell’Ego. Privo di un principio ordinatore interno e di stabili riferimenti ideali, il soggetto post-edipico non crede più a nulla e la sua adesione a norme e regole rimane solo un atto distaccato e passivo. Senza alcuna bussola che aiuti la navigazione nella vita molti brancolano nel web delegando il loro saper-vivere all’influencer di turno e altrettanti il loro saper-decidere a nuove figure di leader populisti che promettono di farlo al loro posto e per il loro bene.
Il progressivo impoverimento di ampie fasce della popolazione, la crisi generale delle agenzie di socializzazione, il disorientamento psichico e valoriale, una sfiducia diffusa nelle istituzioni unita a una disaffezione politica crescente, la monocultura del denaro, la sussunzione crescente della vita offline in quella online, il crollo di ogni idealità e la paura e l’insicurezza diffuse, derivanti da crisi economiche, pandemia, migrazioni e cambiamenti climatici e accresciute da una specifica forma imprenditoriale, stanno mutando le democrazie occidentali, da tempo ridotte a simulacri post-democratici, in forme autoritarie di governo guidate da leader che tendono ad assumere su di sé ogni processo decisionale. In mancanza di punti di riferimento attorno ai quali costruire il senso della propria vita, la libertà arriva a generare nell’individuo angoscia o a venir fraintesa con il lasciar libero sfogo alle proprie pulsioni. La tendenziale estinzione della cultura e della famiglia patriarcale, seguite dallo sgretolamento dello stesso principio paterno, portano con sé una serie di rigurgiti a livello individuale di cui la crescita del numero di femminicidi costituisce l’espressione più eclatante.
In questo quadro psicosociale emergono diffusi tratti di personalità che potrebbero andare a configurare, mutatis mutandis, una nuova versione di personalità autoritaria. Tratti di una personalità che tende a sostenere leader populisti e movimenti illiberali, come sta accadendo oggi al di qua e al di là dell’Atlantico, e che risulta tollerante verso il controllo autoritario e la repressione delle minoranze. Caratteristiche caratteriali favorite dalla crescente erosione dei residuali valori democratici e dal declino della fiducia nelle istituzioni, i quali si associano a una percezione di corruzione e inefficienza, il tutto alimentando il ricorso a soluzioni semplicistiche ammannite da un leaderismo autoritario.
Se nella versione classica di questa personalità tratti caratteriali quali il conformismo e il gregarismo venivano polarizzati da un capo, altrettanto avviene con la diffusione dei social media, i quali alimentano comportamenti mimetici virali, che tendono a coagularsi attorno a figure di leaderismo digitale. Gli individui psichici vengono attratti dentro quell’«effetto di rete, che diviene con il social networking un effetto automaticamente gregario, cioè altamente mimetico. Si costituisce così una nuova forma di massa convenzionale» (Stiegler 2019, p. 91). Le connessioni all’interno di quest’ultima sono però talmente volatili da farla assomigliare più a uno sciame che a una massa: «la nuova folla si chiama sciame digitale e ha caratteristiche che la differenziano radicalmente dal classico schieramento dei molti, vale a dire dalla folla». La folla, ovvero la massa, non è infatti un semplice aggregato, una somma di individui isolati, ma una neoformazione omogenea che va a modificare la coscienza dei singoli, i quali trovano nel capo politico cui si sottomettono, lo specchio in grado di rimandare loro i riflessi del loro Io ideale e colui che sembra corrispondere ai loro sogni. L’aggregazione casuale di uno sciame, viceversa, non possiede quello spirito unico che anima la folla con la voce di un solo Noi. Lo sciame digitale «non si esprime come una sola voce», ma come una cacofonia di voci giustapposte, quali quelle di una shitstorm (Han 2015, pp. 22, 23). In questa società che Stiegler chiama “società automatica”, le espressioni comportamentali tendono a diventare sempre più compulsive, mimetiche, gregarie e automatizzate, nella direzione di una società falsamente individualista, perché in realtà società-gregge, società-formicaio (Stiegler 2019). Ed è proprio la volatilità dello sciame digitale, a non rendere possibile il cristallizzarsi di alcuna forma di aggregazione politica ma solo spostamenti ondivaghi polarizzati da significanti guida intercambiabili, veicolati da circuiti informazionali che viaggiano alla velocità della luce.
Secondo Stiegler oggi ci troviamo di fronte a una «totalizzazione permanente e planetaria costitutiva essa stessa di un totalitarismo soft, che sfrutta industrialmente e matematicamente le pulsioni e gli arcaismi mimetici che li sottendono, in una tecnosfera diventata esosferica e costituente una macchina dal calcolo in real time di scala cosmica, e che Peter Thiel teorizza annunciando la liquidazione algoritmica del politico stesso» (Stiegler 2019, pp. 159-160).
La fuoriuscita dal politico teorizzata dal cofondatore di PayPal annuncia quella società tecno-oligarchica che il duo Trump e Musk, assieme a gran parte del gotha digitale, sembrano intenzionati a portare a compimento. Una società nella quale il monopolio privato di big data e infrastrutture informazionali in grado di drenarli, trasformarli e inocularli nella rete, modellando i profili digitali nei quali sempre più ciascuno si rispecchia, prefigura una sua rifeudalizzazione ad opera di un tecno-totalitarismo plutocratico.
Attualmente la circolazione infosferica accelerata di flussi ininterrotti di informazioni, delle quali risulta spesso difficile stabilirne la veridicità, la trasformazione della stessa configurazione psichico cognitiva dell’individuo ad opera di un’eccitazione infoneurale continua e la manipolazione degli orientamenti di voto attraverso una profilazione digitale personalizzata, conducono verso forme di populismo digitale che condizionano i comportamenti degli individui nella società reale.
L’automatizzazione della facoltà analitica dell’intelletto umano, a mezzo del lavoro accelerato degli algoritmi, spinge a un’accelerazione la stessa ragione la quale, presa in velocità, come facoltà sintetica ed ermeneutica, strumento di riflessione critica, ne risulta cortocircuitata.
L’eccitazione attenzionale ininterrotta operata da flussi velocissimi di stimoli altamente volatili, non lascia tempo alle tracce ritenzionali digitali di depositarsi in modo permanente nella memoria degli individui, compromettendone la sedimentazione. La velocità degli automatismi e la variabilità degli stimoli che attenzionano la coscienza è tale da non consentire quell’intermittenza necessaria alla costruzione di un deposito mnestico e quindi di un soggetto della memoria. La capacità di conservazione di quest’ultima si indebolisce e luoghi, persone e fatti, per essere richiamati alla coscienza, necessitano dell’accesso ad un cloud collocato fisicamente su di un server. L’atrofizzazione delle ritenzioni mnestiche colpisce in particolare la memoria dichiarativa, la quale viene progressivamente sostituita da quella procedurale5. Secondo Stiegler l’entropia informazionale conduce alla scomparsa dello spirito critico e alla cancellazione delle capacità curative e trasformative del pensiero, aprendo la strada alla post-verità, alla stupidità funzionale e alla post-democrazia.
Questo habitat tecno-psico-sociale risulta favorevole all’emergere di una nuova personalità autoritaria. Gli “sciami digitali” vengono polarizzati da flussi di stimoli infoneurali che catturano anticipatamente le protensioni individuali, ovvero le aspettative di futuro, secondo uno schema di stimolo-risposta che va a configurare un gemello digitale profilato dal neuromarketing psicopolitico. La ripetuta trasmissione e ritrasmissione di segnali informativi tende a coagularsi in ambiti omogenei e chiusi, in cui visioni e interpretazioni divergenti finiscono per non trovare più considerazione e scompaiono dibattito e contraddittorio. Vengono a crearsi echo-chambers nelle quali la nuova personalità autoritaria tende a conformarsi rigidamente ai valori del proprio gruppo di appartenenza, sia esso un movimento estremista online o una comunità ideologica chiusa, sviluppando tratti paranoico-fascisti e complottisti. Ad esempio Qanon, un gruppo politico di estrema destra, sostiene una teoria del complotto secondo la quale esisterebbe un complesso piano segreto orchestrato da un presunto Deep State, ovvero i poteri occulti, con l’intento di ostacolare il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e i suoi sostenitori. Questi ultimi, al contrario, sarebbero riusciti a prendere il potere con lo scopo di smantellare un presunto Nuovo Ordine Mondiale, ritenuto colluso con reti globali di pedofilia, pratiche esoteriche legate all’ebraismo, società segrete e, più in generale, orientato al controllo globale.
Rieccheggiano le massime di 1984, «La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza», declinate all’interno di un regime di post-verità che si diffonde nel web e che è sintetizzato dall’ossimorico nome del social network creato da Trump, Truth. All’interno di quest’ultimo, come in quello di Elon Musk, X, e in generale nei social media ormai non più sottoposti al fact checking, si moltiplicano contenuti manipolati (fake news) che creano una realtà alternativa, che rafforza le credenze autoritarie. Algoritmi e intelligenza artificiale diventano gli strumenti con i quali creare un mondo alla Truman Show del quale ognuno di noi ne è inconsapevole protagonista.
Arroccamenti etnocentrici, nazionalisti e identitari si diffondono su entrambe le sponde dell’Atlantico, alimentando una visione del mondo in termini di gruppi contrapposti, come “noi contro loro”, i quali vanno a generare una polarizzazione che crea divisioni e conflitti crescenti, in termini politici, etnici e financo religiosi. A ciò si aggiunga una crescente sfiducia nelle istituzioni tradizionali (governi, media tradizionali, scienza ufficiale), alla quale corrisponde una fedeltà verso fonti alternative, spesso marginali o cospirazioniste. Queste tendenze diventano il terreno più adatto ad alimentare forme di autoritarismo politico e culturale. A sua volta, il malessere diffuso in molti cittadini si esprime in un risentimento, che nell’epoca della post-verità, viene agevolmente indirizzato verso un caprio espiatorio dal pifferaio digitale di turno. La sofferenza cerca un sollievo attraverso quello “spirito di vendetta” che vuole che anche gli altri abbiano ugualmente a soffrire: «Lo spirito di vendetta: amici, su nient’altro finora gli uomini hanno meglio riflettuto; e dov’era sofferenza, sempre doveva essere una punizione» (Nietzsche 1988, p. 171).
Se la governance algoritmica capitalista sembra portare con sé la fine dei tempi politici, allo stesso tempo il «totalitarismo soft di questo capitalismo smart genera delle regressioni autoritarie che portano verso la ripetizione delle forme più hard di repressione e di sottomissione – e c’è da temere che le imprese computazionali vi si accomoderanno perfettamente», com’è puntualmente accaduto con i GAFAM dopo l’elezione di Donald Trump in America (Stiegler 2024, pp. 159, 160, 184).
Le politiche economiche di stampo neoliberista che hanno dominato dopo “i gloriosi trenta” e che hanno spinto verso delocalizzazione e globalizzazione, stanno provocando riterritorializzazioni di stampo nazionalista, che iniziano a contemplare modalità di esercizio del potere nuovamente coercitive. Con il neopresidente americano e i suoi numerosi correligionari europei ritorna una forte enfasi sulla difesa dell’identità culturale, religiosa ed etnica, in opposizione a fenomeni come l’immigrazione e la globalizzazione. Torna anche l’esibizione muscolare del potere e della forza del capo nella quale individui impoveriti, impauriti e disorientati si identificano, trovando risarcimento al vuoto di senso delle loro vite, alla loro fragilità e progressiva perdita di autonomia. Riemergono figure di padre-padrone non più a livello familiare ma politico le quali esercitano il potere in una maniera feroce, che genera ulteriore violenza. Se nella terribile stagione del totalitarismo del Novecento il padre-Duce, il padre-Fuhrer rassicurava le folle negando loro la libertà, oggi lo fa lasciando sfogare sfrenatamente le pulsioni più antisociali e distruttive, come sta avvenendo nella nuova guerra civile e sociale americana. Dopo la morte del padre edipico, Trump incarna un padre perverso e strupratore che lascia libero sfogo alle pulsioni dei figli della sua Nazione, ai quali non impone più il dovere ma il godere, incitandoli con slogan come “MAGA” e “America first” e con affermazioni anti-establishment tipicamente populiste.
Oggi sembra si stia costituendo un’Internazionale Nera6 animata da nazionalismi etno-identitari in Europa e suprematismo bianco in America, accomunati dal disprezzo per l’altro, con tentativi da parte dei suoi membri di esautorare i rispettivi parlamenti, accentrando i poteri in una sola persona, con spregio per la loro divisione, come per la stampa e per ogni forma di dissenso e con l’assunzione di toni messianici, complottisti e populisti. I diritti fondamentali, civili e sociali, vengono progressivamente erosi, mentre la propaganda mediatica trasforma la realtà a immagine di una falsa ed esorbitante narrazione, che per molti è diventata verità.
La depoliticizzazione sta in realtà mutando in «una politicizzazione nel senso più arcaico e tribale di “politica”, intesa come sfera delle relazioni amico-nemico e continuazione della guerra con altri mezzi. Un’evoluzione dell’autoritarismo, più ferino e insieme indissociabile dalla tecnologia, e soprattutto radicato ormai nel potere aziendale e digitale, un completo rovesciamento del Leviatano o “stato etico” fascista, un nazismo a guida privata. Dove l’abolizione della differenza fra il vero e il falso avviene in nome della libertà di opinione e di espressione, e con la forza degli algoritmi che governano i social, per cui poi l’attacco allo straccio di stampa che resta sembra ancora quasi onesto: ti bastono perché non mi piace ciò che dici, all’antica» (De Monticelli 2025).
L’autoritarismo crescente e il suo allargamento su scala internazionale possono essere favoriti da ogni individuo portatore della nuova personalità autoritaria, se non addirittura da elementi potenzialmente presenti in ciascuno di noi come pensavano Deleuze e Guattari, per i quali le masse non erano state ingannate ma avevano veramente desiderato il fascismo e l’oppressione, animate dalla perversione del desiderio gregario.
Prima che la montante marea nera si abbatta sulle nostre società, riducendole a democrature quali stadi embrionali di vere e proprie dittature, risulta centrale che chi si batte ancora per l’autonomia degli individui esiga un’attenzione particolare verso la disautomatizzazione delle tecnologie digitali, l’educazione volta al pensiero critico e il consolidamento delle strutture democratiche.
Note
1 La teoria della confederazione di anime dei medici filosofi Ribot, Janet e Binet, sostiene il carattere illusorio dell’unicità monolitica dell’Io. La personalità viene pensata come una pluralità di Io che si pone sotto il controllo di un Io egemone che li coordina. La nostra identità è solo il risultato instabile del controllo esercitato da questo Io egemone sulle altre anime, controllo che richiede un grande impiego di energia. Per i médecins philosophes, scrive Bodei, «l’io degli individui psicologicamente ritenuti normali è soltanto il più forte, non l’unico. La sua egemonia si basa su un sistema di alleanze e di equilibri psichici costruiti, non naturali, che richiedono un continuo dispendio di energia» (Bodei 2002, p. 57).
2 Il concetto di folla solitaria (The Lonely Crowd) è stato sviluppato dal sociologo David Riesman nel 1950. Descrive una società in cui gli individui, pur vivendo in ambienti affollati e interconnessi, si sentono isolati e privi di legami autentici. Riesman distingue tre tipi di orientamento sociale: quello che segue le norme ereditate dal passato, quello guidato da valori interiorizzati e quello influenzato principalmente dall’opinione degli altri e dai media. La folla solitaria rappresenta quest’ultima condizione: individui che si conformano alle aspettative sociali senza una vera autonomia, portando a un senso di alienazione e superficialità nei rapporti umani.
3 Come scriveva Gilles Deleuze nel 1990, nel suo Poscritto sulle società di controllo, la società di controllo sostituisce all’uomo rinchiuso l’uomo indebitato, all’individuo il «dividuo» rivale di sé stesso e degli altri che cerca di emulare, alla massa i campioni statistici, alla fabbrica l’impresa, che si pone come modello di società e la cui anima è la sua divisione commerciale. Il controllo sociale assume una forma non rigida, coercitiva e discontinua come quella degli ambienti chiusi (scuola, ospedale, fabbrica, carcere) delle società disciplinari ma aperta, continua e infinitamente modulabile come quella dell’impresa capitalistica. Tramite il mezzo televisivo, la pubblicità e il marketing, il controllo si fa invisibile e affabile e il soggetto viene controllato senza neanche sapere di esserlo, anzi credendosi libero autore delle proprie scelte. La società di controllo opera anche attraverso tecnologie quali i computer e i dispositivi informatici, che permettono di individuare «la posizione di ciascuno, lecita o illecita e di operare una modulazione universale […] non c’è bisogno di ricorrere alla fantascienza per concepire un meccanismo di controllo che ad ogni istante dia la posizione di un elemento in ambiente aperto, animale in una riserva, uomo in un’impresa (collare elettronico)» (Deleuze 2019, p. 205).
4 Per Freud l’identificazione primaria consiste nell’adozione da parte del bambino del modello genitoriale, mentre le identificazioni secondarie riguardano la strutturazione della personalità adulta, attraverso l’adozione di oggetti affettivi, legami e forme di sublimazione.
5 Aggiungiamo che dal punto di vista cognitivo, l’essere umano dispone di facoltà intuitive e di facoltà razionali. Le prime corrispondono a frame mentali, già depositati nella nostra memoria procedurale, con i quali interpretiamo una situazione in maniera automatica. Agiamo in modo intuitivo quando ci riferiamo a procedure acquisite nel passato. Un problema che non possiamo riportare intuitivamente a schemi mentali precedenti, dobbiamo affrontarlo con le nostre facoltà razionali. Queste ultime afferiscono alla memoria dichiarativa e implicano una riflessione che si articola in alcune fasi diverse, che richiedono un diverso impegno cognitivo e una durata maggiore. Tramite l’intuizione sappiamo come agire, mentre con il ragionamento sappiamo perché. Ad esempio, leggendo un manuale, posso spiegare in teoria come si guida una macchina, senza saperla guidare in pratica. Viceversa, posso saper suonare uno strumento musicale, senza aver alcuna conoscenza di teoria e solfeggio. Usare in continuazione un mezzo digitale, attraverso interfacce web, permette di apprendere procedure e dopo un po’ di eseguirle in modo automatico, senza alcun bisogno di pensare e senza sapere nulla con quali criteri e valori sono state costruite. Data la grande plasticità dell’organo cerebrale e il suo veloce modificarsi tramite l’apprendimento di procedure, soprattutto se dotate di interfacce user friendly e gamificate, il rischio paventato di un’esposizione sempre più massiva ai device digitali, soprattutto dei più giovani, è quello di una atrofizzazione della memoria dichiarativa a favore di quella procedurale, laddove risultano entrambe indispensabili nell’interazione con il mondo reale.
6 «Non mi sento solo, perché nuovi alleati hanno abbracciato le idee di libertà in ogni angolo del mondo, dall’incredibile Musk alla mia cara Giorgia Meloni fino al presidente israeliano Netanyahu e al presidente Usa Donald Trump». Il presidente argentino Javier Milei ha espresso queste dichiarazioni durante il suo discorso al Forum di Davos. Nel suo intervento non è mancata una critica abituale al cosiddetto “wokismo”, termine generico impiegato da coloro che mirano a delegittimare le classi sociali più deboli e discriminate. Quest’alleanza globale di forze reazionarie, suprematiste e promotrici di un nazionalismo economico aggressivo si percepisce oggi in una posizione di forza.
Bibliografia
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