MARIO TOMAI – OMBRE DI SUONO

MARIO TOMAI – OMBRE DI SUONO

23 Maggio 2025 Off di Francesco Biagi

MARIO TOMAI – OMBRE DI SUONO

 

 

Ghermito dal vortice di forze

col sacco in spalla risali

persuaso del peso

tra pallori di forme

e scheletri di case di calce

varcando il bagliore sospeso

tra ciminiere di fumo

e macerie di torri

 

non si aprono imposte

delle scure finestre

nessuna ala d’angelo azzurra

si apre a fermare il coltello

il sogno si è confuso

in un pugno mortale

è inutile cercare il suo cuore

scavando la neve

o nelle dune scintille insabbiate

 

quando le vittime rinascono

al mattino carnefici.

*

Astri oscurati inininfluenti e remoti

trascorrono

sul nostro feroce groviglio

 

spettrali geometrie

fluiscono nell’ordine petreo

di uno statico sisma incessante

sin caer perpetua caída

 

(inilluminabile

Il non amore iniziale)

 

tra coloriture di sogno

maschere desuete

trucchi usurati

opachi specchi

di realtà inverse:

 

noi barcollando su grucce di tempo.

*

Nell’attimo del trascorrere

il corpo che il nulla trasogna

si sgrana e s’aggruma

non vale più per se stesso non resta

nei suoi chiusi contorni

in vortice la sua forma tramuta

e dissolve.

*

L’anamorfico specchio

nell’angolo estremo della cella

riflette il sordido interno e il bugliolo

i sudici panni

e anche riflette l’infima finestra

sulla parete il riquadro di cielo

ma sta così in alto

che il prigioniero non possa vederla

per guardare al di fuori

per quanto il collo si storca e si sforzi

sulla punta dei piedi

*

sulle rovine di Dresda

trascorre da un lontano violino

in ombre di suono un adagio

di scordata maceria

*

dans la gare d’Orsay vide

entre le fer et la glace

désavouée par les trains

en suspens les arrivées et les départs

dans l’attente du jugement

le cadran des horaires est brulé

la porte entrouvre

à la secrète lueur

*

urlanti e plagiati

sentiamo in agguato splendere

tra le selvagge rame

la voglia di fendersi e esplodere

in una preistoria insondabile.

*

Rauco e feroce amore

se le giunture delle ossa si slegano

in murmuri vocianti sulla tempia

e la piena estate s’inombra

di nubi giganti

 

inilluminabile vortice

inoscurabile

amore trema sull’orlo di fiamma

ed urge dal marasma della terra.

*

Gli oggetti di Morandi

 

Nell’estraneità delle case

hai deposto le tue nere caraffe

mute sull’orlo inclinato

tenebre parlanti di sordi ricordi

e presagi di guerra

 

il vaso bianco sbreccato

è un groviglio di fiori

di accordi del chiaro

non serve più a bere

o a custodire le ceneri

né può degli eventi

alterare il corso

 

un’invisibile forza lo trae

nel più alto silenzio.

*

In ansioso annebbiarsi

dissolte forme

di primordiale mutezza

risorgono in sogni di pietra:

il domestico vaso e la conchiglia

di contorto furore –

che più lontano tengano il disfarsi.

*

Giunto appena alla riva

chiude gli occhi esausti

rivolti alla terra

in un sonno profondo

teme il risveglio sotto gli ulivi

l’attimo che precede il trascorrere

tra le spade e le grida

in una lingua straniera

(vengo, padre,

perché mi chiami gridando?).

*

Un milite ignoto

 

La sua bocca riemerge

da un sudario di sabbia

dall’oscura terra mormora

una preghiera senza speranza

perché gli sia concesso il ritorno

dal regno dei morti.

*

Guarda muta ed immobile

la pietra e il bulino inutile

trasognata la mente

nella finestra sotto l’arco di marmo

il cielo s’annera

senza ore tra spente campane

*

nelle invasate periferie suburbane

i sonnambuli avanzano

tastano l’orlo annaspando

hanno in mano brandelli d’insegne

gridando si inombrano

nell’inerte attonita ebbrezza

*

il cardillo di cenere

senza canto si leva

nell’oscurato mattino

deserti di pioggia scialbano

gli antichi ed incisi contorni

delle cupole delle torri toscane

le navate ammurate

i crocifissi senza volto schiodati

 

(i volti sono disegni di rupe

di divelta montagna,

nella preguerra una fosca apatia

si muta in furore fervente)

*

nella sgiuntura dei tempi

la nottivaga viene

nel tenebrore dell’onda fluendo

il suo remo immergendo sfavilla –

 

viene, la nottilucente.

*

Giardino

Per Ruggero Savinio

 

Sospeso nel crepuscolo serale

il cenno della tua mano si volge

agli estremi chiarori

alle strie luminescenti

dell’ombra in attesa che avvolge

la lieve rovina

riflessa nell’acqua

e speri che ancora tuo figlio

ne conservi la traccia senza nome

in un sogno

 

in riflessi di acque gli Oscuri

vibrano nella muta penombra

inesistenti e remoti

li indichi al figlio

nel respiro del vento

che muove appena le onde

e le trascorre nel vuoto del tempo

 

i corpi si erodono

in eccessi di luce

o dilagare di ombre

divengono tremito

che invade la terra

con lunghe maree

 

un estraneo sorriso senza volto

ci nega lo sguardo:

dobbiamo forse

cercare la luce

nel fondo di occhi intenebrati e cavi?

 

Nel mondo marchiato

da arconti occulti senza pensiero

che assegnano un compito a ognuno

di sterminio e di sangue

che spengono il vento

il gelo appiccano ai corpi e alle case –

la sparizione trasognano

le tue erose figure

 

(nel cielo che s’infredda

un rogo di stelle

fiamme rotanti

cui luce s’aggruma

in oscura materia

in sé sovrastante

che non conosce più nome)

 

può una sillaba di inversa preghiera

ricongiungere i corpi alle voci?

 

al vento estremo offriamo

scarne trame di rose di ombra

e rosse foglie

di tardivo ardore.