
MARIO TOMAI – OMBRE DI SUONO
MARIO TOMAI – OMBRE DI SUONO
Ghermito dal vortice di forze
col sacco in spalla risali
persuaso del peso
tra pallori di forme
e scheletri di case di calce
varcando il bagliore sospeso
tra ciminiere di fumo
e macerie di torri
non si aprono imposte
delle scure finestre
nessuna ala d’angelo azzurra
si apre a fermare il coltello
il sogno si è confuso
in un pugno mortale
è inutile cercare il suo cuore
scavando la neve
o nelle dune scintille insabbiate
quando le vittime rinascono
al mattino carnefici.
*
Astri oscurati inininfluenti e remoti
trascorrono
sul nostro feroce groviglio
spettrali geometrie
fluiscono nell’ordine petreo
di uno statico sisma incessante
sin caer perpetua caída
(inilluminabile
Il non amore iniziale)
tra coloriture di sogno
maschere desuete
trucchi usurati
opachi specchi
di realtà inverse:
noi barcollando su grucce di tempo.
*
Nell’attimo del trascorrere
il corpo che il nulla trasogna
si sgrana e s’aggruma
non vale più per se stesso non resta
nei suoi chiusi contorni
in vortice la sua forma tramuta
e dissolve.
*
L’anamorfico specchio
nell’angolo estremo della cella
riflette il sordido interno e il bugliolo
i sudici panni
e anche riflette l’infima finestra
sulla parete il riquadro di cielo
ma sta così in alto
che il prigioniero non possa vederla
per guardare al di fuori
per quanto il collo si storca e si sforzi
sulla punta dei piedi
*
sulle rovine di Dresda
trascorre da un lontano violino
in ombre di suono un adagio
di scordata maceria
*
dans la gare d’Orsay vide
entre le fer et la glace
désavouée par les trains
en suspens les arrivées et les départs
dans l’attente du jugement
le cadran des horaires est brulé
la porte entrouvre
à la secrète lueur
*
urlanti e plagiati
sentiamo in agguato splendere
tra le selvagge rame
la voglia di fendersi e esplodere
in una preistoria insondabile.
*
Rauco e feroce amore
se le giunture delle ossa si slegano
in murmuri vocianti sulla tempia
e la piena estate s’inombra
di nubi giganti
inilluminabile vortice
inoscurabile
amore trema sull’orlo di fiamma
ed urge dal marasma della terra.
*
Gli oggetti di Morandi
Nell’estraneità delle case
hai deposto le tue nere caraffe
mute sull’orlo inclinato
tenebre parlanti di sordi ricordi
e presagi di guerra
il vaso bianco sbreccato
è un groviglio di fiori
di accordi del chiaro
non serve più a bere
o a custodire le ceneri
né può degli eventi
alterare il corso
un’invisibile forza lo trae
nel più alto silenzio.
*
In ansioso annebbiarsi
dissolte forme
di primordiale mutezza
risorgono in sogni di pietra:
il domestico vaso e la conchiglia
di contorto furore –
che più lontano tengano il disfarsi.
*
Giunto appena alla riva
chiude gli occhi esausti
rivolti alla terra
in un sonno profondo
teme il risveglio sotto gli ulivi
l’attimo che precede il trascorrere
tra le spade e le grida
in una lingua straniera
(vengo, padre,
perché mi chiami gridando?).
*
Un milite ignoto
La sua bocca riemerge
da un sudario di sabbia
dall’oscura terra mormora
una preghiera senza speranza
perché gli sia concesso il ritorno
dal regno dei morti.
*
Guarda muta ed immobile
la pietra e il bulino inutile
trasognata la mente
nella finestra sotto l’arco di marmo
il cielo s’annera
senza ore tra spente campane
*
nelle invasate periferie suburbane
i sonnambuli avanzano
tastano l’orlo annaspando
hanno in mano brandelli d’insegne
gridando si inombrano
nell’inerte attonita ebbrezza
*
il cardillo di cenere
senza canto si leva
nell’oscurato mattino
deserti di pioggia scialbano
gli antichi ed incisi contorni
delle cupole delle torri toscane
le navate ammurate
i crocifissi senza volto schiodati
(i volti sono disegni di rupe
di divelta montagna,
nella preguerra una fosca apatia
si muta in furore fervente)
*
nella sgiuntura dei tempi
la nottivaga viene
nel tenebrore dell’onda fluendo
il suo remo immergendo sfavilla –
viene, la nottilucente.
*
Giardino
Per Ruggero Savinio
Sospeso nel crepuscolo serale
il cenno della tua mano si volge
agli estremi chiarori
alle strie luminescenti
dell’ombra in attesa che avvolge
la lieve rovina
riflessa nell’acqua
e speri che ancora tuo figlio
ne conservi la traccia senza nome
in un sogno
in riflessi di acque gli Oscuri
vibrano nella muta penombra
inesistenti e remoti
li indichi al figlio
nel respiro del vento
che muove appena le onde
e le trascorre nel vuoto del tempo
i corpi si erodono
in eccessi di luce
o dilagare di ombre
divengono tremito
che invade la terra
con lunghe maree
un estraneo sorriso senza volto
ci nega lo sguardo:
dobbiamo forse
cercare la luce
nel fondo di occhi intenebrati e cavi?
Nel mondo marchiato
da arconti occulti senza pensiero
che assegnano un compito a ognuno
di sterminio e di sangue
che spengono il vento
il gelo appiccano ai corpi e alle case –
la sparizione trasognano
le tue erose figure
(nel cielo che s’infredda
un rogo di stelle
fiamme rotanti
cui luce s’aggruma
in oscura materia
in sé sovrastante
che non conosce più nome)
può una sillaba di inversa preghiera
ricongiungere i corpi alle voci?
al vento estremo offriamo
scarne trame di rose di ombra
e rosse foglie
di tardivo ardore.