PREGUERRA – POESIE DI MARIO TOMAI
Dal secolo ombra
Chi potrà, mia epoca, mia belva
fissarti nelle pupille un istante
e di due secoli agganciare le vertebre
incollandole con il proprio sangue?
(Osip Mandel’stam, 1922)
Secolo belva chiamò Mandel’stam l’epoca sua col suo aperto furore: di cui noi siamo ombre portate[1].
Secolo d’ombra ed echi trasognato
chi fisserà i tuoi occhi senza vita
chi riunirà il tuo sangue versato
ai corpi dei sommersi alla tua riva?
Alla giuntura di due secoli ripeti
i campi della nebbia e della notte
il grido delle vittime perverti
divenute carnefici di morte.
Le trascinate vite senza sogni
si affidano a dorsali di cristallo,
vuoti suoni divergono le voci
in parole di un tempo lacerato.
I tuoi bambini giocano alla guerra;
rintocca la campana senza festa
un arso vento geme sulla terra
il seme della nascita si spegne.
Il tuo corpo deforme in due piegato
nessuna lascia eredità d’affetti
solo le vacue immagini svenate
di opache ideologie riflessi:
il secolo passato fu feroce
passione del reale e del terrore,
tu ne sei l’ombra, ma non meno atroce
scrivi con passo fantasma le tue orme.
Si lamenta natura perché è muta:
mia epoca, mia ombra, io non so quale suono
sciolga il tuo effetto dalla causa morta
se mai soccorra uno spento ricordo
e del tuo debito spezzi la catena:
i sospetti fino all’osso frantumando
vagammo oscuri i giorni dell’attesa
dai nomi fiumi e strade liberando.
***
Le stanche sentinelle lungo il muro
attendono il nemico
che forse non esiste
gli occhi nel sonno sorvegliano le ombre
tende nere proteggono le bare
dai due barrocci con cavalle bianche
la ghiaia è bianca come nel deserto
l’uomo esausto si sdraia sulla terra
con l’inutile peso
esitando a riprendere il cammino
la vuota sella oscilla
i cavalli s’addentano con furia
in un nero groviglio
violenza spoglia gli alberi sul mare
una corsia di malati attende
dal nulla la salute
osceni morti attendono la guerra
gli amici cadono come perse ombre
furore agita i sogni
tu conosci una luce di radura
dove serene cadano le foglie?
e sia lontana la città d’acciaio?
***
Si avvincono in divergente corsa
in dissociate attese
tra naufragi di nuvole
nel cielo che s’oscura
lei dorme incurante
nella sua culla di seta
ignara del sogno
che tra vortici d’onda l’avvolge
lui alle sue mani s’afferra
come un fiume di nero tormento
si gonfia la coscienza di sé
nella tenebra i lampi dell’anima
sono tracce di luce inattesa
trattando l’ombre come cosa salda.
Note:
[1] Così prosegue la poesia di Mandel’stam:
Le cose terrestri dalla gola
zampillano sangue carpentiere;
sul limitare dei nuovi giorni
chi, se non il mangiaufo, trema?
La creatura fino a che c’è vita
deve in giro portare la sua schiena,
e l’onda, il flutto al gioco si affidano
di un’invisibile spina dorsale.
Tenera cartilagine di bimbo
è l’epoca neonata della terra:
di nuovo hanno sacrificato l’apice
della vita come fosse un agnello.
Per scioglier l’epoca dalle catene,
per dare inizio a un mondo nuovo
bisogna, a mo’ di flauto, unire insieme
le piegature dei nodosi giorni.
È l’epoca a gonfiare d’angoscia
umana il flutto che s’increspa; e l’aurea
misura dell’epoca ha il respiro
della vipera nascosta fra l’erba.
E ancora le gemme si gonfieranno,
la vegetazione schizzerà talli,
ma, epoca mia, bellissima e grama,
è in pezzi la tua spina dorsale.
E con un povero sorriso demente
ti volti a guardare crudele e fiacca,
come una belva che fu agile un tempo,
le orme lasciate dalle tue zampe.
(traduzione di Remo Faccani, Ottanta poesie, Einaudi)
***
Immagine: Quadrato nero di Kazimir Malevic (1915).