PREGUERRA – POESIE DI MARIO TOMAI

PREGUERRA – POESIE DI MARIO TOMAI

28 Settembre 2025 Off di Mario Pezzella

Dal secolo ombra

  

Chi potrà, mia epoca, mia belva

fissarti nelle pupille un istante

e di due secoli agganciare le vertebre

incollandole con il proprio sangue?

(Osip Mandel’stam, 1922)

 

Secolo belva chiamò Mandel’stam l’epoca sua col suo aperto furore: di cui noi siamo ombre portate[1].

 

Secolo d’ombra ed echi trasognato

chi fisserà i tuoi occhi senza vita

chi riunirà il tuo sangue versato

ai corpi dei sommersi alla tua riva?

Alla giuntura di due secoli ripeti

i campi della nebbia e della notte

il grido delle vittime perverti

divenute carnefici di morte.

 

Le trascinate vite senza sogni

si affidano a dorsali di cristallo,

vuoti suoni divergono le voci

in parole di un tempo lacerato.

I tuoi bambini giocano alla guerra;

rintocca la campana senza festa

un arso vento geme sulla terra

il seme della nascita si spegne.

 

Il tuo corpo deforme in due piegato

nessuna lascia eredità d’affetti

solo le vacue immagini svenate

di opache ideologie riflessi:

il secolo passato fu feroce

passione del reale e del terrore,

tu ne sei l’ombra, ma non meno atroce

scrivi con passo fantasma le tue orme.

 

Si lamenta natura perché è muta:

mia epoca, mia ombra, io non so quale suono

sciolga il tuo effetto dalla causa morta

se mai soccorra uno spento ricordo

e del tuo debito spezzi la catena:

i sospetti fino all’osso frantumando

vagammo oscuri i giorni dell’attesa

dai nomi fiumi e strade liberando.

 

***

 

Le stanche sentinelle lungo il muro

attendono il nemico

che forse non esiste

gli occhi nel sonno sorvegliano le ombre

 

tende nere proteggono le bare

dai due barrocci con cavalle bianche

la ghiaia è bianca come nel deserto

l’uomo esausto si sdraia sulla terra

con l’inutile peso

esitando a riprendere il cammino

la vuota sella oscilla

 

i cavalli s’addentano con furia

in un nero groviglio

violenza spoglia gli alberi sul mare

una corsia di malati attende

dal nulla la salute

osceni morti attendono la guerra

gli amici cadono come perse ombre

furore agita i sogni

 

tu conosci una luce di radura

dove serene cadano le foglie?

e sia lontana la città d’acciaio?

 

***

 

Si avvincono in divergente corsa

in dissociate attese

tra naufragi di nuvole

nel cielo che s’oscura

 

lei dorme incurante

nella sua culla di seta

ignara del sogno

che tra vortici d’onda l’avvolge

lui alle sue mani s’afferra

 

come un fiume di nero tormento

si gonfia la coscienza di sé

 

nella tenebra i lampi dell’anima

sono tracce di luce inattesa

trattando l’ombre come cosa salda.

 

 

Note: 

[1] Così prosegue la poesia di Mandel’stam:

 

Le cose terrestri dalla gola

zampillano sangue carpentiere;

sul limitare dei nuovi giorni

chi, se non il mangiaufo, trema?

 

La creatura fino a che c’è vita

deve in giro portare la sua schiena,

e l’onda, il flutto al gioco si affidano

di un’invisibile spina dorsale.

Tenera cartilagine di bimbo

è l’epoca neonata della terra:

di nuovo hanno sacrificato l’apice

della vita come fosse un agnello.

 

Per scioglier l’epoca dalle catene,

per dare inizio a un mondo nuovo

bisogna, a mo’ di flauto, unire insieme

le piegature dei nodosi giorni.

È l’epoca a gonfiare d’angoscia

umana il flutto che s’increspa; e l’aurea

misura dell’epoca ha il respiro

della vipera nascosta fra l’erba.

 

E ancora le gemme si gonfieranno,

la vegetazione schizzerà talli,

ma, epoca mia, bellissima e grama,

è in pezzi la tua spina dorsale.

E con un povero sorriso demente

ti volti a guardare crudele e fiacca,

come una belva che fu agile un tempo,

le orme lasciate dalle tue zampe.

(traduzione di Remo Faccani, Ottanta poesie, Einaudi)

***

Immagine: Quadrato nero di Kazimir Malevic (1915).