Liturgie del dolore. A proposito dell’opera musicale di Kristin Hayter, in arte “Lingua Ignota” – di Andrea L. Mazzola

Liturgie del dolore. A proposito dell’opera musicale di Kristin Hayter, in arte “Lingua Ignota” – di Andrea L. Mazzola

18 Gennaio 2024 Off di Francesco Biagi

«Il giusto godrà nel vedere la vendetta, / laverà i piedi nel sangue degli empi»1. L’impostazione liturgica dell’opera della musicista d’avanguardia statunitense Kristin Hayter sembra risuonare nelle parole dei Salmi, delle invocazioni a Dio che il popolo d’Israele innalza al cielo contro i suoi nemici: è il lamento del giusto, la vendetta del pio. Agli empi toccheranno in sorte «brace, fuoco e zolfo» e saranno sferzati da «vento bruciante»2, perché la vendetta rivelerà loro la giustizia di Dio.

Il profondo legame con la ricerca religiosa è suggellato dalla scelta del nome d’arte di Kristin, Lingua Ignota, richiamo esplicito alle littere ignotae create dalla mistica Ildegarda di Bingen3. L’artista si identifica con il misticismo della santa, con la ricerca estatica di una lingua divina che possa dire ciò che è inesprimibile con le parole umane: «I’m trying to construct something that speaks the unspeakable, and so I use this sort of amalgam of musical devices to make my own sonic language which is meant to also be ecstatic or outside the self. There is always the urge to escape the body, to immolate»4, una fuga dal corpo cosciente che si manifesta nella vera e propria possessione, «as God speaking and moving directly through a body»5. Il parlare attraverso un corpo e non più con il corpo è evidente anche durante le performances dell’artista, che lei stessa definisce al pari di un esorcismo: «I keep telling myself to take it easy on my voice when I perform but I seem to have no control over my body whatsoever [corsivo mio]. I always end up with bruises everywhere, and later I’ll watch video and see that I’d been hitting myself with the mic or falling on the monitors or something. I basically black out. I initially have awareness of the audience and generally stare them down for a minute or so at some point but that awareness gets totally wrecked»6.

L’origine della ricerca dell’artista, della sua struggente e tremenda opera musicale, che fonde influenze classiche, operistiche, liturgiche, noise, black metal e power electronics, trae origine dall’esperienza del trauma di essere sopravvissuta alla violenza domestica; lei stessa definisce le sue composizioni un inno per i sopravvissuti7.

Nata in California nel 1986, a Kristin viene impartita un’educazione cattolica e intorno agli 11 anni comincia a prendere lezioni di canto e a cantare alle funzioni religiose8. Durante l’adolescenza comincia ad espandere i propri gusti musicali, che spaziano dal grunge al prog, passando per il math-rock, il noise, il free-jazz, il metal, mentre nel frattempo comincia i suoi studi musicali in conservatorio9. Si specializza in musica medievale, rinascimentale e barocca, il che avrà una grandissima influenza per i suoi successivi lavori. Si laurea nel 2016 in Literary Arts. Durante gli anni dell’università affermerà di essere stata vittima di violenze e abusi e questa sua esperienza troverà una prima forma nella sua (letteralmente) monumentale tesi di laurea dal titolo: BURN EVERYTHING TRUST NO ONE KILL YOURSELF10, un elaborato di 10.000 pagine contenente una vasta raccolta di materiale misogino reperito su internet, testi di canzoni, invettive. A tal proposito affermerà: «I decided on 10.000 pages because that’s my body weight in standard paper and it’s an impossible book object. I wanted to create something vast, unreadable, and terrifying»11. A partire dalla tesi Kristin inizia il suo percorso di ricerca artistica e musicale decidendo di occuparsi di violenza sulle donne, assumendo il punto di vista della vittima, mettendo in forma espressiva il lancinante dolore che si prova quando si è vittime di abusi, facendo emergere, in un mix assolutamente inedito dal punto di vista musicale, tutte le contraddizioni di essere un sopravvissuto. L’atteggiamento di Kristin/Lingua Ignota nei confronti del processo di creazione artistico inizia, innanzi tutto, dal sé: ciò che ritroviamo nelle sue composizioni è – in prima istanza – il suo personale dolore, le sue esperienze, le sue parole, la sua rabbia, così come è Kristin/Lingua Ignota che ritroviamo nel discorso musicale, che riflette le sue esperienze educative (il cattolicesimo), le sue ricerche musicali nel campo della musica colta, la scoperta di generi estremi e lontani dal mainstream musicale, fino a esplodere in violentissime esplosioni harsh noise e parti vocali in screaming. Questa scelta stilistica funziona, nei suoi dischi, su diversi livelli: innanzi tutto riflette, come dicevamo, ciò che l’artista effettivamente è, e mette in primo piano la sua esperienza personale; esprime, tuttavia, delle contraddizioni dolorose che si elevano dal livello individuale per andare a investire la dimensione collettiva del trauma: si fa vero e proprio inno dei sopravvissuti portando il dolore personale in un discorso musicale ed estetico di tipo universale. La scelta di contrapporre parti musicali che richiamano direttamente la musica rinascimentale e barocca – con parti vocali eteree e misurate – a veri e propri muri sonori di rumore e urla, esprime il doppio ruolo del sopravvissuto: vittima degli abusi e della violenza, ma carnefice nella dimensione artistica, in cui può esternare la sua rabbia e la sua sete di vendetta per il torto subito. Infine la dimensione universale viene raggiunta attraverso un uso delle liriche che rimanda direttamente alle fonti bibliche, di modo che il grido di disperazione e rabbia non sia solo individuato in un solo essere, ma sia il grido di un popolo, il popolo dei sopravvissuti alla violenza che cercano in Dio la loro rivalsa, la loro possibilità di riscatto. Ciò è evidentissimo già nel suo primo disco Let the Evil of his own lips cover him (2017, autoprodotto). Il testo della composizione That he may not rise again, infatti, dopo una citazione esplicita dello Stabat mater – riferimento alla sofferenza da una donna che, tuttavia, trascende attraverso il dolore nella comunione con il divino – presenta una violenta parafrasi del Salmo 140. Sopra un muro sonoro distorto e cacofonico riecheggiano le parole: «Deliver me, O Lord, from the violent man! / Preserve me from the violent man! / Continually he is gathered against me! / Sharpened tongue like a serpent! / Adder’s poison under lips! / Keep me, O Lord, from the hands of the violent man! / Preserve me from the violent man! / He has hid a snare for me! / He has spread a net for me! / Lord thou art my God – hear me! / Keep me, O Lord, from the hands of the violent man! / Further not his wicked devices lest he exalt himself. / Let the evil of his own lips cover him! / Let the burning coals fall upon him! / Let him be cast into deep pits that he may not rise again!»12. Se nei Salmi Israele chiama a sé Dio affinché lo protegga dagli empi in quanto negatori del Dio vero e della vera fede, qui la richiesta è che Dio possa liberare l’artista (e con lei tutti le altre vittime) dall’uomo violento, trasfigurandolo nel nemico, nell’avversario, nell’origine metafisica del male. I riferimenti biblici si fanno più fitti anche nel secondo album, uscito soltanto sette mesi dopo il primo, All Bitches die (2017). Nella prima traccia che apre l’album, Woe to all (in the day of my wrath), l’artista non chiede più aiuto a Dio perché la vendichi, ma al contrario si fa lei stessa divinità distruttrice, citando a piene mani dall’Apocalisse, fino al riferimento letterale ad Apocalisse 8, 13: «I bring the end of all things / I crush the seven golden stars / In my rotten right hand / The teeth of seven thousand men / Adorn my silver crown / Where’er I walk / Ten thousand flies precede me / Where’er I walk / Ten thousand serpents follow at my feet / My tongue is an axe, and a sword, and a five pointed dagger / With a single word / Every mountain shall crumble / Every tree shall fall / Every field shall be razed / Ever crop shall rot / Every home shall be painted with blood / Every lung shall be flooded with bile. / And woe to all who inhabit the earth / for now I walk among you»13. Qui riemerge tutto il carattere dicotomico dell’opera di Kristin/Lingua Ignota: colui che chiede, colui che prega è anche colui che mette in atto la vendetta, la vittima si fa carnefice ergendosi addirittura a esecutore di una giustizia divina e universale, la sua rabbia fa tremare le montagne e scuote i popoli della terra, «guai a loro». Questo ribaltamento funziona non soltanto dal punto di vista meramente musicale, ma richiama tutte le implicazioni teologiche e mistiche della sofferenza: essa è sì comunione con Dio, trasfigurazione del corporeo, possessione e incantamento, ma al contempo è una deificazione dell’io sofferente, che si erge a giudice dei mali del mondo.

Nel 2018 esce Caligula (Profund Lore Records) forse il suo lavoro più interessante: qui le stratificazioni musicali si infittiscono, sebbene le tematiche di fondo restino comunque le stesse dei precedenti lavori. La produzione però è adesso curatissima, il lavoro ha un minutaggio considerevole e rappresenta, credo, la summa del progetto Lingua Ignota. La prima traccia dell’album, Faithful Servant Friend of Christ, oltre richiamare l’apostolo Giuda figlio di Giacomo14, vuole essere un preludio all’intera opera, introducendo i temi musicali che saranno sviluppati nel corso delle tracce successive. Le prime note richiamano in maniera quasi esplicita il preludio del Rheingold wagneriano sulle quali si dipanano le melodie del piano e del violoncello, anticipazione dei successivi sviluppi musicali. Il primo momento di climax drammatico si raggiunge nella terza traccia, Butcher of the world, in cui viene riproposta la notissima marcia funebre di Henry Purcell per la Regina Maria. Resa popolare da Wendy Carlos che la interpretò al sintetizzatore nella colonna sonora del film di Stanley Kubrick Arancia Meccanica (1971) essa, ancora una volta, si fa portatrice di significati duplici: si tratta della musica composta per il funerale di una regina – una donna – ma al contempo assurge, per l’artista, a simbolo di violenza, anche per via dell’associazione con il film di Kubrick. Dopo il sample esplode un synth distorto e profondo, che scuote l’ascoltatore, su di esso Kristin canta: «I’m the fucking death dealer / I’m the butcher of the world / If you don’t fear me yet, you will»15. I ruoli qui si confondono: sta parlando l’abusatore oppure la vittima che ha deciso di vendicarsi? Ciò che resta è soltanto un profondo smarrimento sonoro, con tessiture barocche e polifoniche che quasi si perdono, senza tuttavia sparire nel tutto, nelle distorsioni noise dei sintetizzatori, nelle angoscianti urla, nelle percussioni quasi ultraterrene. Ma il gioco della decontestualizzazione non è certo nuovo all’artista, anzi forse si potrebbe dire tutta l’operazione che ha portato avanti con le sue composizioni è una decontestualizzazione e reframing della musica estrema16. Questa è dominata da figure maschili ed è intrisa di immagini di grande violenza che, seppure nient’altro che una scelta stilistica, spesso si esprime nei confronti di donne, con immagini molto vivide che non risparmiano alcun particolare. Si tratta ovviamente di una finzione, dato che «none of these guys are actually sodomizing female corpses in their free time»17, tuttavia la scelta di utilizzare stilemi musicali prettamente maschili (i gruppi femminili di metal estremo si contano davvero sulla punta delle dita) permette all’artista di riappropriarsi di uno spazio sonoro e stilistico facendo, tuttavia, molto sul serio: se la violenza spesso esagerata di queste scene musicali è, in fin dei conti, soltanto una posa estetica, la violenza di cui parla Kristin/Lingua Ignota è invece reale, la sofferenza è vera. Questo intricato gioco di rimandi e ridefinizioni si concretizza nella sesta traccia del disco, If my poison won’t take you my dogs will, in cui l’artista fa riferimento alla controversa figura di Aileen Wuornos18 e alle parole del reverendo Jim Jones, responsabile dello scioccante suicidio di massa di Jonestown del 197819. Entrambi i riferimenti culturali vengono ridefiniti alla luce dell’esperienza traumatica della violenza e filtrati attraverso l’espediente, già ampiamente sperimentato, dell’invocazione liturgica: «Aileen / I’ll only say this once / I am the best friend you’ll ever have / All this, all this is meaningless / Without me. // So will you join me? / Will you join me? / If you lay your life down, no ma can take it // Will you join me? / Will you join me / Abandon your body so no man can break it // […] Humble yourself / If the poison won’t take you my dogs will / Unburden yourself / No shadow will darken your door like mine will»20. Qui l’artista si rivolge direttamente alla Wuornos, e lo fa utilizzando e traslando le parole che il reverendo Jones pronunciò durante lo straziante ultimo sermone d’accompagnamento al rito del suicidio. Questo doppio riferimento da una parte presenta Aileen Wuornos come vittima di violenza, prima che carnefice e omicida; è a lei, inconsolabile e abusata dalla vita, che Kristin si rivolge. «No man takes my life from me, I lay my life down»21, invece, sono le parole del reverendo Jones all’inizio del suo sermone, in cui presenta il sacrificio come una forma di liberazione, e a Christine – una donna che manifestava dubbi sulla necessità del suicidio – rispondeva: «Christine, without me, life has no meaning… I’m the best friend you’ll ever have»22. L’artista usa praticamente le stesse parole e le inserisce in un contesto completamente diverso. Il Kyrie eleison risuona all’inizio e alla fine della composizione, per riportare, ancora una volta, il discorso sul piano religioso: quel Dio vendicativo a cui si chiedeva di colpire con la sua mano «l’uomo violento» adesso è colui a chi si chiede pietà e perdono, perdono per una considerazione laica del suicidio visto come una forma di liberazione dal dolore23.

L’esplorazione del trauma della violenza continuerà anche nel successivo Sinner get ready (2021, Profund Lore Records), che ripropone gli stessi stilemi musicali e le stesse riflessioni metafisico/religiose. È da notare, tuttavia, che da un punto di vista teorico Kristin rifiuta di inserirsi nel dibattito del pensiero femminista: «In a fun twist, my work does not at all engage with any schools of feminist thought or critical theory»24. La ricerca dell’artista, infatti, non è alcun modo politica o sociale, non indaga le cause strutturali della violenza, né è interessata a costruire un discorso teorico su di essa: nella sua forma più pura la sua arte è un’arte mistica, in cui il rapporto con il divino (e con il suo contrario, con il male assoluto) viene vissuto come esperienza individuale e trascesa sul piano universale della possessione e trasfigurazione. L’intensità emotiva derivante dall’esplorazione di queste tematiche, così come l’immedesimazione dell’artista nelle sue performances, ha portato Kristin Hayter ad abbandonare il progetto Lingua Ignota nel corso dei primi mesi del 202325: «I want to live a healthy, happy life and have changed much in myself and my surroundings to bring light in. As such the art has to change too. It is not healthy for me to relive my worst experiences over and over through [Lingua Ignota], and my healing has finally allowed me to feel how painful that is»26, scrive sui suoi social media27. La fine del progetto però non ha fermato l’attività artistica di Kristin, che attraverso un nuovo nome, Reverend Kristin Michael Hayter, ha deciso di esplorare il tema della salvezza e della redenzione. Sebbene il suo rapporto con Dio e la religione si sia sempre mosso sul filo dell’ambiguità28 la redenzione che l’artista cerca con il programmatico nuovo disco Saved! (2023, Perpetual Flame Ministries) è quella di un ritorno alle origini, una ricerca della purezza dell’atto religioso, senza dimenticare, tuttavia, gli sperimentalismi già adottati e continuando a muoversi in un universo sonoro e concettuale in perpetuo chiaroscuro: le composizioni, ampiamente tratte dal repertorio religioso classico americano del gospel e dello spiritual, lasciano intendere ancora tracce (evidentemente incancellabili) del dolore passato; i brani vengono incisi su nastri che si disfanno nell’atto stesso della riproduzione, quasi a far emergere un carattere fantasmatico dei canti, una dimensione eterea a ricordarci che la salvezza è indissolubile dalla nostalgia per ciò che è perso (forse la purezza della religiosità di un bambino?) e che anche nella redenzione resta l’ombra di ciò che è stato, dell’abisso che si è vissuto e delle lacerazioni di cui si è sofferto. Kristin abbandona le urla e i muri di rumori, e ci accompagna con un canto etereo e pulito che, tuttavia, continua a mostrare elementi perturbanti. Nell’ultima traccia l’artista infine esclama: «No storm can shake my inmost calm / While to that Rock I’m clinging / Since Christ is Lord of Heaven and Earth / How can I keep from singing?»29 mentre, in sottofondo, comincia a emergere una cupa glossolalia (un richiamo postumo alle ignotae litterae?), un indistinto lamento confuso che pian piano si fa più forte: l’intonazione si fa più drammatica, la glossolalia comincia sempre più ad assomigliare ad un lamento, fin quanto non restano che i singhiozzi e il pianto, a cui si aggiunge rumore statico che copre ogni cosa. Forse è l’orrore che non può essere mai coperto del tutto, e che nemmeno la luce di Cristo può illuminare?

Note: 

1 Salmi 57, 11.

2 Salmi 10, 6.

3 Cfr. S. Higley, Hildegard of bingen’s unknown language: An edition, translation, and discussion, The new middle ages, Palgrave Macmillan US, 2007.

4 «Sto cercando di costruire qualcosa che esprima l’inesprimibile, e quindi utilizzo questo tipo di amalgama di dispositivi musicali per creare il mio linguaggio sonoro, che è anche concepito per essere estatico o al di fuori del sé. C’è sempre l’impulso di sfuggire al corpo, di immolarsi». Cfr. https://thequietus.com/articles/23861-lingua-ignota-kristin-hayter-interviewed.

5 «come se Dio parlasse e si muovesse direttamente attraverso un corpo». Cfr. http://musicandriots.com/interview-with-kristin-hayter-aka-lingua-ignota1/.

6 «Continuo a dirmi di andarci piano con la voce quando eseguo, ma sembra che non abbia alcun controllo sul mio corpo. Finisco sempre con lividi dappertutto, e quando dopo guardo i video vedo che mi sono colpita con il microfono, o sono caduta sui monitor o qualcosa del genere. In pratica, perdo conoscenza. Inizialmente sono consapevole del pubblico e li fisso in genere per un minuto o già di lì, ma quella consapevolezza viene completamente distrutta». Ibid.

9 Ibid.

10 Brucia tutto, non fidarti di nessuno, ucciditi.

11 «Ho deciso che dovesse avere 10.000 pagine perché è il peso del mio corpo espresso in carta standard, e è un oggetto-libro impossibile. Volevo creare qualcosa di vasto, illeggibile e terrificante». Cfr. https://www.villagevoice.com/on-her-striking-new-album-lingua-ignota-soars/.

12 «Liberami, o Signore, dall’uomo violento! Preservami dall’uomo violento! Continuamente egli si raduna contro di me! Lingua affilata come un serpente! Veleno di vipera sotto le labbra! Proteggimi, o Signore, dalle mani dell’uomo violento! Preservami dall’uomo violento! Ha nascosto una trappola per me! Ha steso una rete per me! Signore, tu sei il mio Dio – ascoltami! Proteggimi, o Signore, dalle mani dell’uomo violento! Non favorire i suoi piani malvagi perché possa esaltarsi! Lascia che sia coperto dal male delle sue stesse labbra! Cadano su di lui braci ardenti! Sia gettato in profonde voragini perché non possa risorgere». Cfr. Lingua Ignota, That he may not rise again, in Let the Evil of his own lips cover him (2017, autoprodotto).

13 «Io porto la fine di ogni cosa / Distruggo le sette stelle d’oro / nella mia mano destra marcia / I denti di settemila uomini / adornano la mia corona d’argento / Ovunque io vada / diecimila mosche mi precedono / Ovunque io vada / Diecimila serpenti seguono ai miei piedi / La mia lingua è una scure, e una spada, e un pugnale a cinque punte / Con una singola parola / ogni montagna si sgretolerà / ogni albero cadrà / ogni campo sarà raso al suolo / ogni raccolto marcirà / ogni casa sarà dipinta di sangue / ogni polmone sarà inondato di bile / e guai a tutti gli abitanti della terra / perché adesso io cammino tra di voi». Cfr. Lingua Ignota, Woe to all (in the day of my wrath) in All bitches die (2017, autoprodotto, ripubblicato nel 2018 da Profund Lore Records).

15 «Sono il dannato mietitore / sono il macellaio del mondo / se ancora non mi temi, lo farai». Cfr. Lingua Ignota, The butcher of the world, in Caligula (2018, Profund Lore Records).

16 «Qusi tutto ciò che faccio è plasmato da modelli misogini, dominati da modelli maschili e patriarcali. Io sto soltanto ridefinendo e ricontestualizzando. Per questo motivo lavoro molto con suoni e set d’immagini ispirati alle ideologie che caratterizzano la musica estrema.», Cfr. http://musicandriots.com/interview-with-kristin-hayter-aka-lingua-ignota1/

17 «nessuno di questi ragazzi sodomizza sul serio cadaveri di donne nel loro tempo libero», Ibid.

18 Aileen Wuornos è stata una serial killer statunitense, condannata a morte per iniezione letale. La condanna è stata eseguita il 9 ottobre del 2002. Dopo una vita di stenti e violenze sessuali inizia a prostituirsi e a convivere con una donna. Le sue vittime sono tutti quanti uomini, clienti della sua attività. Aileen Wuornos sosterrà al processo di averli uccisi in seguito a tentativi di violenza, tuttavia ciò non costituirà nessun attenuante per la sentenza. Cfr. J. M. Reynolds, Dead ends: The pursuit, conviction, and execution of serial killer Aileen Wuornos, Open Road Media, 2016.

19 Il massacro di Jonestown (nome con cui cui veniva chiamata la comunità internazionale People’s Temple Agricultural Project, insediatosi nella giungla della Guyana ad opera del controverso pastore e predicatore Jim Jones nel 1977) fu un suicidio collettivo di massa in cui persero la vita più di novecento persone per aver ingerito una bevanda velenosa al cianuro. Per un’indagine più approfondita sulle motivazioni e interpretazioni del suicidio si veda D. Chidester, Salvation and suicide: An interpretation of Jim Jones, the Peoples Pemple, and Jonestown, Indiana University Press, 2003.

20 «Aileen / Lo dirò soltanto una volta / Io sono il migliore amico tu che tu possa mai avere / Tutto questo, tutto questo è senza senso / senza di me // Quindi ti unirai a me? / Ti unirai a me? / Se sacrifichi la tua vita, nessuno può portarla via // Ti unirai a me? / Ti unirai a me? / Abbandona il tuo corpo, così nessuno potrà romperlo. // […] Umiliati / se il veleno non ti ucciderà lo faranno i miei cani / Liberati / Nessuna ombra oscurerà la tua porta come farà la mia» cfr. Lingua Ignota, If the poison won’t take you my dogs will, in Caligula (2018).

21 «Nessuno può prendersi la mia vita, se la sacrifico», cfr. https://jonestown.sdsu.edu/?page_id=29081.

22 «Christine, senza di me la vita non ha significato… sono il migliore amico che tu possa mai avere» Cfr. Ibid.

23 Suicidio che la stessa artista avrebbe tentato nel 2022. Cfr. https://www.rollingstone.com/music/music-news/alexis-marshall-rape-allegation-1269588/.

24 «Per un simpatico colpo di scena il mio lavoro non si occupa affatto di alcuna corrente di pensiero femminista o teoria critica» Cfr. http://musicandriots.com/interview-with-kristin-hayter-aka-lingua-ignota1/.

26 «Voglio vivere una vita sana e felice, e molto è cambiato in me e nell’ambiente circostante, a portare luce. Di conseguenza anche l’arte deve cambiare. Non è sano per me rivivere continuamente le mie peggiori esperienze attraverso Lingua Ignota, e la mia guarigione mi ha finalmente permesso di sentire quanto doloroso esso sia». Ibid.

28 In un’intervista, alla domanda Puoi descrivere la tua relazione con il Cattolicesimo? Kristin risponde: «It’s complicated. I was raised in the church and became an atheist when I was 13, and since then I’ve been in and out. Now I think I’m…mostly out, but I have a really strong relationship to the imagery of Catholicism, the pageantry of mass, the language of the bible. I think that there is something very beautiful about music and art built as an act of worship, and that doesn’t have to be specific to Catholicism, but some of my favorite art has that purity of intent».(«È complicato. Sono stata cresciuta nella chiesa e sono diventata atea quando avevo 13 anni, e da allora esco ed entro di continuo [dall’ateismo]. Adesso credo che io ne sia… abbastanza fuori, ma ho una relazione molto forte con l’immaginario del cattolicesimo, con la pomposità della messa, il linguaggio biblico. Credo che ci sia qualcosa di molto bello nella musica e nell’arte concepita come atto di di venerazione, e ciò non deve essere specifico del Cattolicesimo, ma alcune delle mie opere d’arte hanno quella purezza d’intenti»). Cfr. https://www.invisibleoranges.com/lingua-ignota-interview/.

29 «E nessuna tempesta può scuotere la mia calma più profonda / Mentre mi aggrappo a quella Roccia / Poiché Cristo è il Signore del Cielo e della Terra / Come potrei smettere di cantare?». Cfr. Reverend Kristin Michael Hayter, How can I keep from singing, in Saved! (2023, Perpetual Flame Ministries).