Scherzi di cultura – di Antonio Tricomi
Cultura di governo
Oh! Me so’ spiegata?
Nun famo un cazzo
rispetto all’andazzo:
’na bella copiata
da quello de prima
ch’er monno lo stima,
e noi nun capiamo
’na cippa de leggi.
Ma famo scorreggi
appena parliamo:
Dante sta a destra;
fu, la Resistenza,
massacri, banditi;
amor di radici;
confini blindati;
anglismi vietati.
Poi damo du’ spicci
a quelli poracci,
nu po’ d’evasione
a quelli ben messi,
ché senza ’sti fessi
noi, all’elezione…
Però niente più.
Cjavemo soltanto
da fare pupù
con parole, tanfo:
dovemo soffiare
la involuzione
pre post culturale.
Se noi semo bravi
a fare ’sta merda
con gli sdoganati
rancori de destra,
poi sì che l’acclama,
’sta folla de corte,
mo’ come se chiama…
ah, già: l’omo forte.
Ché non se pò dì
er duce. No no.
I rossi non vò.
Li famo sparì,
s’ancora ce n’è.
Capito com’è?
La nostra missione:
aprire la via
a un periodone
che democrazia
neppure formale.
Er monno s’encendia,
arriva tregenda.
Dovemo allestì
nu po’ de plotoni
de tanti cojoni
pronti a morì.
(1° aprile 2023)
Legittima difesa
Ahó, ma famose ’n po’ a capì:
«Annate a zappà» nun se pò dì;
«Ma quanto s’abbuffano i poracci!»
pure, lo dici, e volano stracci.
Nun fai magnà la carne per ricchioni,
e la scienza ti scassa i coglioni.
Frecce Rosse? Nun se ponno fermà.
I negri nun s’hanno da insultà
(che manco ho detto: «Famoli castrà»;
ho detto: «C’hanno un cazzo che ie dà,
mentre i nostri nun s’arrizzano più,
con tutte ’ste teorie frù frù»).
Ah cocchi rossi, che c’avete in testa?
Che semo vinto e nun famo festa?
Semo aspettato sedici lustri,
ce semo presi i vostri insulti –
«Squadristi!», «Analfabeti!», «Puzzoni!»,
«Ve piacciono i cinepanettoni!»,
«Sapete legge giusto gli scontrini!»,
«Crescete i pupi coi soldatini!» –
e mo’ ar cazzo, stretti, v’attaccate:
semo peggio de come pensavate.
Ve famo ride appena parlamo?
Ridete, ridete: noi comannamo.
E famo arrapà tutta la gente
che a voi ve pare gente da gnente –
fregnoni medi de media morale –
ma è, di ’sto Paese, spina dorsale.
Ve lo mettere er core en pace?
Destra sublime qui non ce n’è. Tace.
Noi semo quelli del cerchiobottismo
tra razzismo, sessismo, qualunquismo.
Del vecchio familismo amorale.
Del lobbismo su base parentale.
Di Onofrio del Grillo, Strapaese:
niente bordelli? tiramo su chiese!
Ve lo traduco papale papale:
ma quale cultura patriarcale!
Noi semo viscere senza più freno
nell’era che fa natura l’osceno.
Quinni mo’, se me lassate passà,
alla faccia vostra c’ho da magnà
’na matriciana, ’na bella pajata –
che Dio la preservi! – con mi’ cognata.
E non lo tollero più ’sto processo:
«Dignità!»; «Ma come te sei permesso?».
De fa che? È l’arte, il governare,
della sovranità alimentare.
(25-27 novembre 2023)
Parola di cannibale
Sono tutto eccitato:
di qua un attentato,
di là missili, mine.
Anche bimbi s’uccide.
Non dobbiamo sottrarci
al war game, spaventarci.
Sciò, eunuchi in guêpière!
Gli altri in fila, à la guerre!
Che occasione stupenda
per rimettere tenda
in dolci pattumiere:
cazzo, patria, preghiere!
Altrimenti l’Europa
Cos’è? Giusto una scrofa
che allatta baccanali
di froci, musulmani.
V’esorta, brava gente,
uno intelligente:
l’ardor non differite!
Armiamoci, partite!
Vi farei compagnia,
ma c’è quest’agonia
che ho un occhio guercio
e l’irrita il lercio
della battaglia, dove
fuma la carne come
la paglia arsa dal fuoco.
Ecco: ho fame. Cuoco!
(7-28 ottobre 2023)
Contro fosca malìa
Lo so perfettamente:
l’irrisione non serve
a suggerir rimedi
agli scempi che vedi.
Può persino finire
col farli digerire.
Col lasciarti sembrare
un complice del male.
Se infatti sapessi
di proposte correnti
che sprezzano il torto,
la scarterei. È certo.
Agli slanci di quelle,
al tono loro – sempre –
i triti versi miei
lieto accorderei.
Ma qui la resistenza
è fatto di coscienza
del singolo soltanto,
se tutto sa di tanfo.
Ed essa può valere
un’oncia, se va bene,
di sterile buon gusto,
col marcio che fa festa.
Né è di pieno segno
morale questo sdegno:
è lotta con l’osceno
che ovunque fa baleno,
giacché spesso accade,
l’altrove quando tace,
che per forma, intanto,
s’osteggi il disastro.
Almeno nel mio senso
è, la satira, questo:
voglia di utopia
torta in ironia,
speranza di bellezza
volta in amarezza,
civile letargia
contro fosca malìa.
(12-15 novembre 2023)
Monomania
Ha sempre, il potere,
un lato buffonesco
ed è un arabesco,
sempre, ogni sapere
che offra qualche forma
al pubblico discorso
del tempo che, in corso,
detta la sua norma.
Ma poi ci sono ere
in cui l’animalesco,
congiunto col grottesco,
è tutto il potere
e anche par che dorma
l’umano nel complesso:
del sapere ogni nesso
in pozza si deforma.
In tali circostanze
le esegesi volte
ad analisi colte
spiegano, delle danze
d’un macabro presente,
origini e prassi,
esiti e sconquassi,
ma non perché si sente
per acide pietanze
un’attrazione forte –
piacere della morte? –
venire dalle stanze
già quasi d’ogni gente,
che ha gioia di farsi,
ha fretta di svelarsi
ludibrio non cosciente.
Di epoche siffatte
lo spirito profondo,
ch’è legge per il mondo,
non può capirlo l’arte,
né lo sa il pensiero
che la monomania
della cialtroneria
non prendano sul serio.
Che lascino da parte,
credano infecondo
all’umor tutt’intorno
aprir le loro porte,
per fare di quel credo
non certo apologia,
ma solo apostasia
mostrandolo veleno.
(28-30 novembre 2023)
Immagine: Georg Grosz, Truffatori al bancone, 1922.