Poesie di Francesco Nappo – L’uva agresta

Poesie di Francesco Nappo – L’uva agresta

9 Dicembre 2023 Off di Mario Pezzella

 

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Cespuglio d ‘agresta riarsa, erma

disfatta ai piedi d’un saliente

a dir la via dove non era meta,

eri gleba contesa alle vipere,

come tra more di roveto insidia.

Agosto poté tenebrare d’un tratto

un’ ora di cristallo del mattino

che ci chiamava per minime selve.

Avvolte in laceri veli luttuosi

di nubi nere all’improvviso accorse,

d’ametista folgori provennero

quasi mutili flabelli combusti

dentro una luce vivissima e morta.

Azzurri convessi scrosciarono

come ferraglia al suolo precipite,

assentemente prossimi a tutti.

Troppo vasto e puro quel dolore

Per restare pena ed afflizione.

Sì sarebbe dischiusa la meridie

a lungo per la piana fino al mare,

immensa lode a quel grido di Golgota.

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Il fiato salmastro litorale

sperdevano folate polverose

per la stesura dell’acciaieria.

Dalle sabbie nere di Coroglio al

presidio atlantista di Bagnoli

lo spirito operaio e di Partito

era vessillo di colpa e di onore,

strenua minorita’ maggioritaria

di quel nostro “Paese nel Paese”

per cui sarebbe morto Pasolini,

alunno disperato di Virgilio,

come morì la vergine Cammilla,

Eurialo e Turno e Niso, di ferute.

Nella rada foresta metallurgica

irta di sparse torri di fusione

gemeva nella gerbida distanza

lontanamente il treno laminatoio

servile alle colate che inquinavano

l’aria e le case del quartiere,

pronubi entrambi divenuti di

rendita fondiaria e yachting classista

che catturando andavano ogni retta

guida politica d’una possibile

riconversione produttiva sostenibile.

Un lungo grido era il treno di lamina

di fronte al mare che s’ingolfa

ad onda ad onda sulle sponde ripide

se non mareggia l’ira fortunale

fin sopra tamerici frangivento

seguaci argentee dei litorali.

Guai’ sempre meno quel cane di ferro

percosso dalla cassa – integrazione.

Poi tacque del tutto e fu la fine

di ciò che rimaneva d’ ‘o Cantiere,

dopo che gli altoforni chiusi furono.

Dopo fu venduto ad un prezzo risibile

a un gruppo siderurgico indiano

che a pezzo a pezzo lo portò altrove.

(Immagine di copertina: Italsider 1970, fotografia di Mimmo Jodice)