Marina Pizzi – Caccia alla stracca – (seconda parte)

Marina Pizzi – Caccia alla stracca – (seconda parte)

13 Novembre 2023 Off di Francesco Biagi

Marina Pizzi – Caccia alla stracca – (seconda parte)[1]

 

21.

Sono andata nel solco di non averti

velluto appena sfornato io stoffa di buchi

caduchi i lembi dell’ultimo vestito.

Sito di zolfo il diavolo a quattro

dover converso il gelo dello stipite

quando annuario parta per andarsene.

Ancora sulla seggiola del nonno

c’è la nomea del minimo passetto

sotto la cenere di chi disdica il cielo.

Mi dicono che il passero sia dentro il taschino

rimosso il teschio dell’ultima morte

dove si abbevera il ratto del vulcano.

Nomea acidula il dubbio di recidere

sotto la luna il fulcro di morire

crudo analfabeta di non credere.

Pioggia agostana stanare le vipere

le donne puttane bellissime filantrope

dove annegano gli uomini i trofei.

Marina la tua nebbia gracile di feti.

22.

Il tuo tempo è un diadema senza vertigini

tonfo di zelo guardarti arrivare

principe d’avvenire verso la burrasca.

Invento storie tu protagonista

stato di vento perderti per sempre

sotto le nomee di fate avvelenate.

Velleità di oggi questi scempi

senza genesi né sì il robivecchi ormai

silente senza gemito il bacio di nessuno.

23.

Piango perché piango sicario la nascita

presa all’amo pescetto di briciole

lesa maestà già allora la voglia di discesa.

Intruglio di angeli malfermi

dovetti il limbo del bimbo

i diavoletti comici giocattoli.

Taccuino non poterti appuntare

oggi rimpiango la crociera di sassi

i passi di non poterti abbracciare.

Sei il mio amore che non sa di esserlo

né porto di rinfresco la mia sparenza

posseduta da sé senza più capienza.

24.

Torsolo solo sto sfinendo

lesto lestofante senza.

25.

Mani di vecchia

cespuglio addolorato

puntiglio analfabeta

ormai anche guardare.

Con l’ultimo orario in tasca

scavalco col volo il coma

la tresca scaltra di un amore, ancora.

Salvazione ruzzolare le scale

letargo d’oltre sonno

non più lo sguardo mai più.

Corpo di brezza

sanare gli occhi

con le braccia al collo tuo.

Paroline per ciuchini rivederti

qui sul foglio androne senza segno.

26.

Tempo che fuggi in garze d’ospedale

spalle d’atleta ormai di stracchino

l’inchino del becchino fa ridere i passeri.

Nell’ozio musicale di piangere

rosse le bacche del sangue in coagulo

guerriglie di talpe le tane con le bare.

Acredine di soffio l’identità sparuta

magma di sale letizia sfiorente

l’orfanità del faro al buio.

Estate maligna le lingue delle vipere

stazionano fisse agli angoli dei libri

senza stagioni da narrare mai più.

27.

Aureole di scarti ormai i ricordi

strambe fole le genie di ieri

quando le nenie accudivano il sonno

e le vendette non erano incluse.

Scalza col tamburino

l’ilarità del demone.

Il trillo del campanello

non annuncia nessuno.

Anfiteatro reo la spia del cielo.

28.

Manciata acrobatica giovinezza

inciampata in uno scarto di dio.

29.

Cortocircuito l’occiduo di nascita

la metamorfosi folle d’età

qualora avessi, avessi avuto

vuoto il polso di battito.

Focale l’estasi di piangere sempre

se finalmente la calce della lapide

narrazione fosse con l’eremo del grido.

Parvente l’apice d’innamoramento

quando t’incontro giro maniaco

senza abbracciarti mai.

La luna e il sole sono le fosse

degl’imbecilli, le ciotole bucate

contro i randagi.

30.

Ho un verdetto canuto ormai che aspetta

l’inguine e la nuca gemellari e torridi

l’ultima spiaggia guarnita d’astio.

Sicario d’angolo sguarnire la tempia

verso il colpo di stanare lo stiletto

carico d’ira pupilla pigra lo sguardo.

In lutto ormai da una vita senza

c’è il tuo bacio che non ebbi mai

ma che tracanna a volontà di nulla.

31.

Nel mazzo di chiavi ci sono chiavi

che non ricordo. Così bivacco in resine

di ruggine con le manette innocenti.

Testimonianza di sgabuzzino resistere

sterminata lanugine infantile

dove gli assassini nidiali prolificano

calze bucate per il manicomio.

Mago di casinò con le tasche gonfie

gola profonda non essere dio

calunnia di sé l’intera terra.

Gaglioffo con la luna storta il vero

enigma bandito tutte le biblioteche

con le cresime di cattedrali maligne.

32.

Silenzio d’età trascinare il vólto

salva nullità la darsena cieca

dove il bagnetto di bimbi

esclude le madri.

Amori impossibili il sipario invadente

il trucco ennesimo del migliore evento

ove nessuno ti ama davvero.

Ragazza fui forestiera aliena

logica carsica la vendetta d’anni

simbolo in gola sperperarsi.

Chiatta di equorei bivacchi

il sangue sparso nel sale di arsure

quando l’invano è l’unico proiettile.

33.

Lettere strappate chiunque tu sia

dentro le rendite false di capire

collegiali le ronde degli amori.

Piange il sipario della luna piena

quando la dichiarazione d’amore

fruttava tesi geniali

apocrife comunque a breve andare.

Salva di me la crisi della morente

vana sorpresa del volo radente

eclisse senza breccola di nido.

34.

Persi chiunque in una fossa comune

simulacro d’oggi il vestibolo

miserrimo analfabeta del nulla.

Mani in servizio per il capestro dì

oggi soqquadro la spada dismessa

sotto il profilo della nenia vacua.

Meringa senza chef il mio sorbetto

avvelenato, lena d’odio lo scarto

dove dimora l’ebete che sono.

35.

Sono così infelice

bramo l’estrema unzione

la voglia dello sparo alla tempia

dove il peso del corpo si laceri

in cadavere. Amanti brucianti

a titolo di lapide ciotole di ceri

per non morire mai, liberata.

La letargia d’ultimo tempo

è la vittoria del non amore

verso la mia sorte sgamata

da potenti assassini. Nessun

verdetto legale slega di me la strage

la genesi di essere tradita.

False prove per vincenti stercorari

ladruncoli di successi bachi di coma

dove si annebbia il binocolo truccato.

36.

Spasimi d’acrobata

la bara che attende

nessun baratto almeno

mestizia del sussurro esalare

stizza ecumenica la nascita.

Nulla di me nemmeno le ceneri

sillabario notturno l’insonnia

torrido erbario l’erba di veleno.

Basto il tiranno che mi prese

cimelio per le falene da bruciare

con le lucciole miti vili nel buio.

Tutta scucita l’imbastitura della torre

nessun lato alto per volo

loquace finalmente nel gran grido.

37.

Osanni la morte la mia sconfitta

la trappola che stringe le caviglie

anatemi vigili qui disfarsi.

Dimora senza tende elemosine guardone

dove si occlude il nesso di guarigione

l’impero del vulcano intorno al collo.

Imprimimi la dote del sorpasso

la nenia scura della polvere finale

volere un attimo di stasi

dove l’acquitrino scanzona le scarpe.

Vetrina analfabeta non desiderare

che balestre per spaccarmi il petto

valori di mannaia il vespro.

Manciata di scarti il mio ospizio

queste cicale pazze senza scrupoli

né propizie le forche che preparo.

38.

Sono nel sacco della nebbia nera

canzone senza canto cappio appeso

dove è buia l’anagrafe festiva.

39.

Nella gestapo della mia stanza

non ho la rivoltella della partigiana

né la distanza del volo letargico.

Tutto si scaglia armadio in fiamme

metamorfosi di scalee senza fidanzate

afosi gl’intrecci di nodi letali.

Varchi di silenzi non dimenticarmi

di mille chiese secoli di sensi

malconci militi ben più che ignoti.

Saline le lapidi isolane

dove le storie non danno lanugini

di greti infantili né liberati enigmi.

Scogli e marine innamorati sempre

giurano tuffi di atleti e teatri

con attori innamoranti le platee.

Cadono i capelli ai malati e ai vecchi

chinando il cielo in vicoli di liti

corse immacolate le vergini che volano.

40.

Macilento il cielo che non credo

satanasso verdetto d’ecumene

coriandolo di dio dentro l’occhio.

Più di così si mura il binario

morto. Universale il trillo di non

farcela. Calamita la tromba delle scale.

Stridono vendetta i doni natalizi.

41.

Con l’apocalisse di un dì dopo l’altro

riassumo il cipresso che mi trascina la caviglia

il gesto ottuso del calibro senza pistola.

Manciate di acini derubare il senso

la colla invincibile di mangiare la terra

o il torto di non averti avuto mai.

Citrullo lo scrigno con niente dentro

l’indirizzo sbagliato verso chiunque

cheti lo spasimo di non ritorno.

In serbo alla botte di ruzzolare

riconosco la sveglia dell’ultimo stadio

la vogata del crollo di Venezia.

Lo sguardo è a te e non ti parlo

giacché la genesi è mortale da tempo

storpie le tempie in preda alle fandonie.

42.

La febbre che racimola il disprezzo

ricorda il dirupo che non volle

immolare chi fui con molte doglie.

43.

Scivolano le voci nello scantinato

i bambini sdentati dall’età

barcollano su i bigodini della mamma.

44.

Cammeo il tuo ricordo quando ti visito

a me vicino nonostante immenso

il sorso della zattera salata.

Vendicativo il tempo della vendemmia

questo fallo panico di nascita

scissa salpata per la fossa.

Valanga salsa essere vecchi

chimoni senza impero ma pozzanghere

le liti temporali senza marsupio.

45.

Lo sguardo asimmetrico della giovinezza

racimola le foto che rimangono

sgualcite sotto i sassi del giardino.

Goliardia di noi quando con un bacio

la musica cinge sé in un diluvio

avvezzo chissà nel misterico caso.

Ora diluvia solo raucedine

sedie vuote dove non rimane

che polvere di tedio la sconfitta.

Il pomo di Adamo deglutisce mostri

gli stemmi del verdetto senza appello

né laude la genesi che fu.

46.

Mi origliò l’eclisse per non

invecchiare più. Nessun trauma più

contro la nuca sfracellata dal tempo.

La statua d’angioletto al cimitero

temette la distruggessi con lo sguardo

o con lo sputo della malavita.

Invece la sirena del complotto

salvò il mio corpaccio per un po’

senza spaccarmi il cuore o lo stallo.

Così senza storia stetti al mondo

gemellare vedova e scrutinio

il crudo orto di non assaporare niente.

Dipoi mi feci univoca assassina

della branda d’insetti che mi resse

bastevole alle nenie delle lapidi.

47.

Occhi belli più della dispensa piena

forse pervinca chissà qualora fosse

possibile amarti con 40 anni di freno.

Estenuato lasso il sasso al collo

suggerente talamo d’inedia

nell’ossea rimanenza del soqquadro.

Veritiero il sibilo del vento

fece ammazzare le tane dei cuccioli

con verdetti massimi di sangue.

Fossi morta nel traguardo del vicolo

colmo analfabeta il dolo che mi visse

segugio grullo l’olfatto che non ebbi.

48.

All’insaputa sotto la vestaglia

a viso scoperto si staglia il mondo,

addolcisci mia lena lo scarabocchio

qui esteso, l’eterna fossa che combacia

la morte, amo la rosa antica che seduce

il sangue, la venere sapida così venerea

sudicio il cielo senza nessuno.

Sussurra il ciuccio la voce del bambino

restia la cometa che non sale lo scendiletto

solitario. Amami mestizia la fuga che gareggia

ciottoli amorosi venirti a stipare

dentro le braccia che più non reggono.

49.

Nessuno da distinguere più,

è già sussurro la guerra

di nascere.

Cerbottana il lutto di vivere

caligine mortale lato oscuro

fiamma di distretto di polizia.

Avvenne l’estro d’innamorare

le rare bazzecole delle collane

con pietruzze allo zucchero filato.

Sparì la cerchia delle nonne immortali

il bel soldato con le armi ottime

caviglie di giullari i rari amori.

Più sopra le zone multiple del cosmo

morì la frottola del folle vitalizio

quando qualcuno ti abbraccia con il panico.

Tanto soqquadro per nullità imperiali

giacché anche i fratelli sono inutili

diademi di giocattoli in tempesta.

50.

È crudo il dolore, ora lo so per certo

solo mio. Spina di pesce stillare sangue

dentro la mollica della carne.

Spora sinistra ormai restare

fasullo fastidio di una vita

atavica sullo sfondo del passato.

Vocabolario nullo la biblioteca

smembrata in mille e mille tomi

miti di ieri il credo dello spepero.

Così si arresta la graziosa sfinge

d’eterno amore o sillaba d’artificio

perpetuo il sacrificio di aspettare.

Nel muso nudo d’ultimo sonno

si serra la rampa del saliscendi

però coi palmi insanguinati.

Vuota l’attesa colma del boia.

51.

Amami occaso solitario e solo

plumbeo anatema contro il mondo

in trono, nomea d’eremo gara di morte.

Bestia d’ateneo non imparare nulla

né la stima del baratro né la rara

festa. Stammi accanto per sottrarmi.

Millesima sostanza senza valore

dammi un millennio per non esistere

allo sterminio in agguato reo.

52.

Perché muoio con la genesi del fato

senza riassunto né gramo risveglio

origlio soltanto lo stento.

53.

Legna da ardere l’ultimo consenso

miniature d’ombre nelle mani

quando accade il vicino gelo.

Sospiro vano il calice del tempo

ubriaco spartito di rumori

con quattro ruote la bicicletta

infantile. Lo stemma di famiglia

ridacchia di sé. Sgangherata l’altalena

nel giardino tumefatto dal sole.

La tartaruga rovesciata muore lentamente.

54.

Le lanterne che socchiudono le sfingi

parlottano le nenie mortali

quasi le lotte di morti irredenti.

55.

L’inganno non perde, ma distrugge

la grazia d’infanzia. Sentiero nullo

le regole, le fatiche che sperperano

comunque rarità o bazzecole del tempo.

Nella distanza che prolifica le tombe

conobbi un bivio violento

una bisaccia tragica al collo.

Loro le rondini avventurano la gioia

la calamita degli stridi

miti le tasche di perdita.

Condanne le chiese senza miracoli.

56.

Muta disperanza tracolla il viso

nel cupo sentiero senza più natura

l’origine di subire giri di malta.

Spade di cipressi accantonarsi

nei pesi di nicchie

l’arresa filigrana del senza gioia.

Venale la lotta il colpo di grazia

inarrivabile, ancora. Meraviglioso

Gigi Riva!

57.

Ho un dirupo che porta la valigia

una staccionata velleitaria senza senso

dove si avvisa la morte.

Corollario non gentile il cortile

del portone tradotto nell’inferno

di starsene nel seno più vizzo.

Non posso andare più a zonzo

tutta bruta l’odissea degli avanzi

a pezzi l’altalena che fu tale.

Avaria si addebita la ruga

fretta di fuga il disordine del dire

sàlvati chissà come potresti.

58.

Il volto ormai tradito,

il tuo odore è ancora nel ventaglio

del moribondo spartito.

Perdente il respiro che ti uccise

tu urlante la notte non voglio

morire. Mai domandare a chi sta molto male

come stai? Tugurio la frottola di nascita

verbale la rotta del silenzio

mentale. Labbra riarse il secolo

crudele. Più non volle starsene

senza letargo il laccio della scarpa

vanesia allora quando la serpe

si allontanava dalla strada vana.

Losca cometa nessuno risorge.

59.

Ridotta a telamone la fatica

scema il marsupio che mi tenne

addolorata scheggia di vespro.

In meno di una logora bisaccia

so tenere il vento scaccia nidi

la lotta frale di non essere nulla.

Gemella fui con molto dolore

nascemmo sotto il peso di affannare

la lirica blasfema del mare ucciso.

In meno che non si dica persi la fola

del credo d’angelo la genesi corrotta

sotto il cantiere saturo di grida.

Il salvacondotto non mi soccorse mai

la canicola agostana stanò le ossa

verso un verdetto nazi di dirupo.

La lucertola vispa e solitaria

ebbe la luce di una vita rada

vicino casa più oltre sentinella.

Morì da subito la supplica fraterna

sotto il masso d’incubo avverato

la mia stagione cantica di frodo.

60.

Scosceso dirupo il simulacro del corpo

l’età sconnessa nella trincea

fa rimanente il traliccio del sangue.

Cigola la ronda degli sconfitti

l’agone fatuo del talamo

l’amara gola, martirio concavo

nascere. Maretta se fui innamorata

oggi non so redigere ricordo

o dolo chissà la salsa pecca.

Caligine rimane e senza tetto

la scuola latente di farsi moribondi

o schivi androni di lontani schiavi.

61.

Mare a forza stagno

nel fronte del dolore

dove s’inerpica l’inguine

di non mostrarsi

simili al dovere di morire.

Con le turbe del vicolo

le colonie d’infanti nenie

vermiglie le madri mitiche

azzerate meraviglie le rincorse.

Se appello non fu salvezza

ora la canicola del sale

sbriciola la colpa del ciottolo.

Paziente la bestiola salva

stimoli la rotta di ridere

nel finalmente mentore angelico.

62.

Taciturno bavero senza risveglio

l’ultimo incontro da svegli

nel crepuscolo morto a noi insieme.

Origine di calunnia l’età

balistica di crepa

pagliaccio il senso del costrutto.

Avvenga salva quasi la voglia

nella sventura avvenente

chissà quale singolo anfratto.

Cortese cavaliere il ciclo di rondini

dismesse le aureole delle aquile

impotenti, crisi di dio non più

guardarti. Ora la cerchia dei mistici

è orba per la cerbottana tradente.

Mai guardinghi ormai non esserci

si stipuli il verdetto del fondo

quando qualora forse ci sarà dispaccio.

63.

L’àncora frolla che non seppe

raccogliere la sabbia a far di casa

i verbi del seno solare.

Ospizio disperano i malati

le gole sul cortile d’ospedale

ma le ronde di gatti fraternizzano.

Velo spartano la sposa di borgata

catapulta la nuca nel bacio

mandorlate le labbra innamorate.

Le giurie di sale fagocitano verdetti

mentre i titani corrono alle culle

per veridicità di un tempo d’avvenire.

Cantanti di operette ai pianerottoli

fanno rincasare i vagabondi

dentro le strenne di gonne di tulle.

Veridici gli gnomi badano le porte.

64.

Ho finito il mio viso

in un arato di stoppie

il dolore delle spighe

fu tremendo.

65.

Genialità d’ombre

le gesta del salice

quando le gerle delle montagne

trafugano i cardi

con le viole sposate

agli inguini dei boschi

nei cimeli dei sassi

in bilico col coma

degli ultimi salvacondotti.

Partenze di stasi il non ritorno

si agevola la nebbia per sempre

valvola di radio senza onda

la dinastia stipata dentro la grotta

poliglotta di echi altrove le chimere.

66.

Oramai le gemelle Pizzi

Susanna e Marina sono

morte. Le loro braci

non esistono non estinguono

i visi similari

su i raccordi delle città

sfilacciate da le foschie

cialtrone ne i verdetti letali.

I cigolati transitano la notte

per guerre non trasmesse in TV.

I loro braccialetti con i nomi

minano la terra con bolle di saponi

attigui ai giocattoli del tempo

furente. Nessuna eredità da godere

date le fuggitive genesi ridotte

a fatui indizi dilapidati senza talee.

 

 

[1] La prima parte è stata pubblicata in questa rivista il 4 ottobre 2023.