Un commento a: Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia. Una via di uscita dalla mente digitale (Rosenberg&Sellier, 2022) – di Alvise Marin

Un commento a: Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia. Una via di uscita dalla mente digitale (Rosenberg&Sellier, 2022) – di Alvise Marin

22 Maggio 2023 Off di Francesco Biagi

Il nuovo libro di Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia. Una via di uscita dalla mente digitale (Rosenberg & Sellier, 2022), ci pone di fronte a un problema quanto mai attuale, quello di quale sia il modo più adeguato di rapportarsi alle nuove tecnologie digitali, per poterne utilizzare le straordinarie opportunità che mettono a disposizione dell’uomo, senza che quest’ultimo ne diventi una mera appendice. E’ del resto plausibile, dal mio punto di vista, quanto tali tecnologie stiano inducendo, soprattutto nei più giovani, una trasformazione del rapporto con la realtà, delle relazioni sociali e finanche della mente, del corpo e della psiche umane. In particolare, la connettività planetaria, attraverso “l’automa cognitivo globale” della rete, come ci ricorda Franco Berardi, porta con sé conseguenze su diversi piani: “c’è un legame tra connettività e prossemica sociale, c’è un legame tra connettività e perdita dell’empatia, c’è un legame tra connettività e precarietà del lavoro, e dissoluzione del sentimento sociale della solidarietà […] c’è un rapporto tra connettività e suicidio”[1]. Sembra quindi si stia realizzando una sorta di cablatura digitale dell’essere umano, una “modellazione biosociale della sensibilità, ovvero un’incorporazione di automatismi cognitivi nella percezione, nell’immaginazione, nel desiderio”[2].

Lo sviluppo più recente dell’intelligenza artificiale (AI), dal canto suo, comincia a nutrire l’ambizione di poter duplicare le funzionalità fisico cognitive dell’essere umano, attraverso replicanti robotizzati la cui anima è un algoritmo evoluto che autoapprende (learning machine), il cui corpo è composto da materiali sintetici e la cui alimentazione è a base di sterminate basi di dati[3]. La famiglia delle intelligenze artificiali Gpt, ha da poco tempo messo in commercio la sua ultima creatura, Gpt-4, “un ammasso di software con – miliardo più miliardo meno – 200 bilioni di parametri, che ingoia testi e immagini e ne trae i criteri con cui improvvisare risposte a richieste d’ogni genere, conosce come rispondere in modo appropriato e in ogni lingua, sa sintetizzare flussi di storia in poche righe, compone poesie e traduce in un istante, in programma da computer, il gioco del burraco”[4]. L’applicazione Midjourney, addirittura, crea immagini da descrizioni testuali, che risultano indistinguibili dai soggetti reali[5]. Perciò, se da un lato, l’intelligenza artificiale può risultare un’ulteriore protesi cognitiva, con la quale potenziare le facoltà del nostro cervello, dall’altro essa tende ad accelerare quell’erosione e virtualizzazione della realtà, tali da rendere quest’ultima indistinguibile da qualunque prodotto di finzione. L’accelerazione di questi mutamenti tecnologici nel settore digitale, è tale da impedirne la regolamentazione, cosa questa, che ha indotto diversi ricercatori a consigliare una moratoria di sei mesi nello sviluppo delle tecnologie AI[6].

La strumentazione, nella sua versione digitale, sembra abbandonare il suo statuto di strumento, per farsi da un lato, habitat, e dall’altro interlocutore paritetico dell’umano. Finelli parla di “una realtà raddoppiata, cioè di una realtà aumentata nel suo spessore ontologico”, a significare che oggi, tra uomo e natura, si interpone un diaframma, un’interfaccia digitale, che ormai comunica tra sé in maniera automatica e autonoma dall’essere umano, ridotto a suo semplice funzionario. Laddove quest’ultimo, dal mio punto di vista, tende oramai a non rapportarsi più alla realtà delle cose, ma alla loro simulazione digitale. Il risultato è un impoverimento dell’esperienza propriamente umana, la quale si da sempre come esperienza fatta impegnando un corpo nella sua complessità e nella sua articolazione spazio motoria. Il suo tendenziale esonero, operato dalle tecnologie digitali, condanna l’essere umano a un’esperienza disincarnata e fittizia, facile preda di controllo e di catture immaginarie. Nella direzione, sembrerebbe, di una realtà postumana fatta di ibridazione tra uomo e macchina, organico e inorganico, mente umana e mente artificiale, tra loro ontologicamente non più distinguibili.

Quello che il libro di Finelli vuole segnare, approfondendo il nesso tra soggettività umana e mondo della tecnica e insistendo “sulla non riducibilità della stessa vita organica alla processualità macchinica”, è invece quella profonda discontinuità ontologica tra vivente e macchinico, che è tale da far si che tra “homo sapiens e contesto tecnologico”, non possa darsi quella osmosi e plasticità reciproca, che le nuove tecnologie digitali sembrerebbero rendere possibile. Sottolineando che la mente umana non risulta assimilabile a uno strumento di calcolo computazionale, indipendente da qualunque fisicità, com’è appunto il software di un computer. Assimilazione, questa, che è un precipitato di quell’ideologia dell’infosfera, verso la quale l’autore avanza profonde e articolate critiche. Quell’ideologia per la quale tutta la realtà può essere ridotta a informazione, fino all’estremo riduzionismo numerico di una logica binaria composta di 0 e 1 (“Tutto è bit” scriveva il fisico americano John A. Wheeler). Una logica che, a partire dalla macchina di Turing[7], opera secondo una discretezza di informazioni, che è condizione necessaria e sufficiente per farla funzionare, ma che è un’astrazione rispetto alla continuità del mondo della vita e della mente umana in particolare. Un’astrazione che, come del resto fa la scienza in generale, ma anche il capitale nella sua riproduzione a partire dalla cellula elementare della merce, prescinde dal senso delle operazioni che compie, perchè interessata solo al proprio funzionamento. Gli algoritmi che costituiscono l’architettura dei programmi dei computer, possono funzionare solo attraverso stati discreti, alternative binarie o a n varianti e anche nei computer quantistici, come fa notare Finelli, la nuvola di probabilità alla fine si condensa in un unico risultato puntuale e discreto. Ma il mondo della vita e quindi anche il corpo sono altro, in quanto presieduti da quella continuità, che qualsiasi computer per quanto potente non potrà mai ricostruire attraverso 0 e 1, ma solo approssimare tangenzialmente. E in particolare è altra la logica che sta al fondo del corpo umano, dei moti affettivo emozionali che lo animano e delle sue pulsioni. Una logica che non è animata dalla disgiuntività di 0/1, si/no, vero/falso dell’algebra booleana, ma dall’ambivalenza strutturale degli stati affettivi e pulsionali del corpo, come compreso per prima dalla psicoanalisi. E la mente umana è tale proprio perchè è incarnata in un corpo senziente[8] che ne costituisce il suo primo oggetto di pensiero. Questa è la ragione per cui il funzionamento di una macchina informatica a stati discreti e finiti, che non può disporre di un corpo, non può essere in grado di  riprodurre quello della mente umana, che è una mente strutturalmente incarnata. A rinforzo di ciò, Finelli sottolinea che la presunta plasticità e integrazione tra organico e inorganico, tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, rimuove quell’acquisizione fondamentale di Freud, che è la teoria delle pulsioni, la quale identifica queste ultime a spinte del corpo senza oggetto, autoreferenziali e quindi indipendenti dal mondo esterno. Questo per dire che, di contro a un presunto modellamento originario della mente umana, attraverso il suo agire produttivo verso l’esterno, che retroagisce all’interno, nella direzione di una indistinzione tra soggetto e oggetto, si sottolinea che in origine la mente umana si rapporta al suo interno, ovvero ha per oggetto quel corpo pulsionale autoreferenziale, a partire dal quale la pulsione si legherà poi all’oggetto, per trovare il proprio soddisfacimento.

In questo libro Finelli prova a elaborare una nuova teoria della soggettività che sia in grado di ridare centralità al soggetto umano, superando quella stagione del postmodernismo e delle filosofie decostruzioniste ed ermeneutiche, che se da un lato hanno ridimensionato il soggetto compatto e autofondato di Cartesio, dall’altro hanno portato la sua decostruzione a un punto tale da renderlo evanescente. Avanzando una forte critica a quella filosofia del linguaggio che ha fatto da terreno di coltura alla metafisica dell’informazione e all’ideologia informatica oggi dominanti. Per arrivare a ridare centralità al tema della soggettività, in modo tale che la rivoluzione tecnologica e digitale non diventi un processo autonomo senza soggetto, ma che venga invece guidata dall’attribuzione di significato da parte di una mente che tragga il suo senso dal corpo, nel quale si trova incarnata. Nella consapevolezza che la tecnologia digitale da sola non potrà salvarci e che solo laddove emerga un nuovo modello antropologico, fondato su un nuovo umanesimo, essa potrà diventare strumento per una universale integrazione dell’umanità.

Una teoria della soggettività, quella proposta da Finelli, sulla scorta del pensiero dello psicoanalista  Armando Ferrari, che vede il corpo (Uno) essere luogo di senso e di individuazione, quindi di soggettività, già a partire dalla sua dimensione biologica, e la mente (Bino) che lo pensa come suo oggetto primo, luogo di un pensiero che ha e mantiene la sue radici nel corpo e nelle sue emozioni, la mancanza delle quali lo renderebbe pensiero astratto, pensiero macchinico, in realtà non pensiero ma mera logica combinatoria computazionale di segni. Un corpo e una mente non disgiungibili (Uno e Bino), dove la seconda nasce dal primo per significarlo e dargli sintesi, integrazione e unità. Un dualismo originario e immanente mente/psiche e corpo che supera l’artificiosa separazione operata da Cartesio tra res cogitans e res extensa, del resto da lui stesso mal digerita, se lo aveva poi costretto all’invenzione di una immaginaria ghiandola pineale che fungesse da ponte tra le due, in direzione di una co-appartenenza originaria tra eterogenei. In questo, sulla stessa strada, con le dovute differenze, lungo la quale si erano già incamminati Spinoza, Leibniz e Kant.

Una struttura antropologica, quella che propone Finelli, di tipo ortogonale, la quale si articola sui due assi. Quello verticale, ascendente, lungo il quale il senso che appartiene già al corpo in ogni suo stadio di sviluppo, a partire dalla differenziazione cellulare, “ogni fase dell’embriogenesi costituisce un soggetto di senso che interpreta le differenziazioni che la cellula subisce nella costruzione dell’embrione”, viene significato dalla mente tramite il linguaggio[9]. Linguaggio che, secondo la lezione di Freud, relativizza la ricerca assoluta del piacere caratteristica della fase primaria, quella della fusionalità della diade madre/figlio. E quello orizzontale, sede della relazione intersoggettiva fondata sul riconoscimento, il cui prototipo è quella funzione materna di riconoscimento e contenimento dell’urgenza del bisogno del neonato, che non realizzandosi, costringerà il futuro adulto in una mente immatura, ovvero una mente non in grado di distanziarsi e di sublimare quella pulsionalità acefala, che lo condannerà a una mortifera ripetizione.

Il corpo, con i suoi limiti, diventa per l’autore un argine a un pensiero dis-incarnato, che identificando informazione e conoscenza e privo di qualunque ancoraggio e limite, acquisisce un “senso di potenza e autosufficienza infinita”.

Nel mondo della post-verità in cui noi oggi viviamo, l’obiettivo di Finelli è forse quello di preservare un registro di verità, il quale giocoforza, non può che appartenere all’unicità e irripetibilità propria di ogni corpo, i cui rappresentanti psichici pulsionali, costituiscono la base a partire dalla quale la mente, significandoli, può accedere al pensiero, tramite l’inaugurale orizzonte linguistico, che rende possibile ogni successiva astrazione.

Al contrario, l’epoca del capitalismo digitale sembra portare con sé una patologia di massa, che consiste “in un’atrofia generalizzata dell’asse verticale, cioè di una disabitudine a percorrere l’asse valoriale della propria interiorità emozionale, per consegnarsi alla superficie dei messaggi e dei valori che animano, moltiplicati, il circuito delle informazioni esteriori”[10], e che rende il soggetto incapace di soggettivarsi, di individuarsi, prigioniero di una rifrazione mimetica intersoggettiva. Del resto, la stessa psicoanalisi contemporanea, registra la tendenziale scomparsa del soggetto dell’inconscio umano, in quanto soggetto del desiderio, riscontrabile nelle nuove psicopatologie, che fa da contraltare alla comparsa di un inconscio tecnologico, la cui scatola nera contiene quegli algoritmi sempre più sofisticati, che oggi presiedono al nostro agire quotidiano e modellano allo stesso tempo i nostri desideri.

La particolare accezione riservata da Marx al termine tecnologia, diventa utile a Finelli per evidenziare il carattere eminentemente astratto che qualunque lavoro assume, anche quindi quello digitale, una volta sussunto dalla logica riproduttiva del capitalismo. La tecnologia moderna, infatti, non è neutra, ma riunisce in sé l’applicazione della scienza con il comando eterodiretto e normato sul lavoro, assimilato a cosa tra cose, in funzione dell’intensificazione della produttività. Laddove i rapporti sociali intrinseci a essa, rimangono occultati. Scrive Michéa: “le tecnologie moderne pongono un problema perchè interiorizzano nella loro stessa concezione determinati rapporti sociali, concetti intellettuali, maniere di produrre e di vivere”[11]. La tecnologia perciò trasforma corpi, menti e natura, dal mio punto di vista, modellandoli secondo quei fini che appartengono alla dimensione sovradeterminante dell’accumulazione di capitale. L’astrazione del lavoro risulta omologa alla fondamentale astrazione del capitale, come “coerenza tra astrazione e impersonalità della funzione umana e astrazione e impersonalità della ricchezza capitalistica da produrre”. Con la differenza che mentre il fordismo irregimentava i corpi rimuovendone la mente, il capitalismo digitale fa l’operazione opposta, costringendo al lavoro una mente, che avendo tagliato i ponti con la propria corporeità, risulta una mente astratta. Comune ad entrambi, in quanto cifra dello stesso meccanismo di riproduzione del capitale, rimane “un percorso onnipervasivo di svuotamento del mondo del concreto da parte di un vettore impersonale di realtà, qual è l’accumulazione di ricchezza astratta, che consegna il nostro modo di vivere sociale e la nostra esistenza personale a un elevato grado di esteriorità e di superficializzazione”[12].

Per evitare che al lavoro astratto segua un soggetto astratto, è necessario che la produzione dell’oggetto, veicoli una produzione di soggettività, che vada nella direzione di un riconoscimento, come scrive Finelli, dell’altro-di-sé e insieme dell’altro-da-sé. Avendo ben presente che riconoscere in primis l’altro-di-sé, significa accogliere quella dimensione psicoanalitica, che ponendo l’inconscio, ha svelato la stessa divisione del soggetto. Quella divisione, che è ciò che rende la mente umana non assimilabile a una mente artificiale, in quanto incarnata nell’ambivalenza del corpo pulsionale. Assumendo, di conseguenza, un nuovo concetto di libertà, come libertà del soggetto di “accedere alla propria interiorità”, significandola nel linguaggio, nell’assenza “al grado più elevato possibile, dell’autoritarismo interiorizzato e delle censure che impediscono al soggetto umano di comunicare con il suo più proprio Sé, corporeo ed emozionale”. E un nuovo concetto di politica, intesa non come semplice mediazione tra interessi egoici consolidati, ma come cura della dimensione valoriale di ciascuno, lungo quell’asse verticale, che è l’unica via d’accesso all’irripetibilità e unicità di ogni essere umano. Solo seguendo questa direzione, la società dell’informazione digitale in cui viviamo, potrà trasformarsi in quella società della conoscenza e del riconoscimento, che accogliendo le nuove tecnologie, allo stesso tempo, non cade preda di quel totalitarismo binario, che tende a dissolvere ogni forma di soggettività propriamente umana.

 

Note: 

[1]   F. Bifo Berardi, E: La congiunzione, Nero, Roma 2021, p. 106

[2]   Ibidem, p.31

[3]   Ricordiamo, seguendo le considerazioni esposte nel libro di N. Cristianini, La scorciatoia, il Mulino, Bologna 2023, che una macchina dotata di IA, se si può considerare intelligente, in ogni caso, non pensa come una mente umana. Essa non deve capire quello che fa, non deve capire il senso di una frase, perchè si fonda sulla “irragionevole efficacia dei dati”, che nasce dalle correlazioni statistiche tra quest’ultimi. I suoi algoritmi lavorano senza aver bisogno di un copione, né di una teoria alle spalle: nell’IA i dati hanno preso il posto della teoria.

[4]   S. Balassone, articolo sul quotidiano Domani, 20 marzo 2023, https://www.editorialedomani.it/tecnologia/gpt-4-inizia-il-mercato-di-massa-dellintelligenza-artificiale-j4zyap9q.

[5]   Una fotogiornalista italiana è riuscita a spacciare per un reportage dalla guerra in Ucraina, le immagini virtuali ottenute descrivendo gli scenari all’applicazione, rimanendosene comodamente a casa sua.

[6]   A margine, ricordiamo anche la perdita di posti di lavoro che questa tecnologia comporterà. Da una ricerca condotta negli USA, si calcola che questa nuova tecnologia provocherà la perdita del 20% e un profondo impatto sul 56% dei posti di lavoro ad alta qualificazione.

[7]   La macchina di Turing permette di implementare il calcolo computazionale, attraverso un nastro lineare, suddiviso in piccole celle che contengono simboli che vengono letti, sovrascritti o cancellati da una testina mobile, secondo regole (algoritmi) che, a partire da un input, generano stati intermedi fino a un output finale.

[8]   Ovvero un corpo, che a differenza di una qualunque macchina dotata di intelligenza artificiale, si sente e si gode, soffre e attraversando il tempo si corrompe, presagendo nella sua mente, l’alito irrevocabile della morte, vera e propria pietra angolare dell’umana esistenza.

[9]   Finelli sviluppa una critica della filosofia che identifica l’essere al linguaggio, nello specifico la filosofia di Heidegger, e del pensiero di Lacan, in nome di un senso che non promana dalla struttura linguistica ma che affonda le sue radici nel corpo biologico emozionale. Il linguaggio, secondo Finelli, porta solo alla luce un senso che è pre-linguistico e che il linguaggio si incarica, nel rapporto del soggetto con la realtà esterna, di significare. Il linguaggio non dis-vela il senso dell’essere, come pensava Heidegger, bensì quello del corpo pulsionale, mediando nel contempo tra principio di piacere e principio di realtà. Esso prende in carico il senso e l’intenzione dell’affetto (principio di piacere) con un atto di nominazione che porta già in sé quelle possibilità che risultano compatibili con il principio di realtà.

[10] Il capitalismo digitale si può anche definire capitalismo semiotico, nella misura in cui flussi infiniti di significanti, di segni dis-incarnati, spezzano ogni legame con il referente reale, scambiandosi mutuamente tra loro.

[11] J.-C. Michéa, Il nostro comune nemico, in C. Formenti, Guerra e rivoluzione, Meltemi, Milano 2023, vol. 1, p. 175

[12] R. Finelli, Per un nuovo materialismo. Presupposti antropologici ed etico-politici, Rosenberg & Sellier, Torino 2018, p. 13