Un poemetto, uno scherzo – di Antonio Tricomi

Un poemetto, uno scherzo – di Antonio Tricomi

4 Aprile 2023 Off di Francesco Biagi

Per non mia ostensione

 

Se al vuoto anzi tempo mi volgo

ricolmo rientro dal vuoto.

Quando pratico col niente

torno, il mio compito, a saperlo.

Quando amo, quando sento,

anche mi logoro, lo so.

Ma, più tardi, dentro il gelo

riarderò.

Franco Fortini, Da Brecht

 

 

Non è più mia la casa della polvere,

che Anna in affitto manuteneva,

che tutta a suo gusto lei rassettava:

dove c’erano libri, chincaglierie.

 

L’ho venduta perché nasce mia figlia.

Pisa, l’arsura, le bici, i lungarni:

non posso più rendere dolce pariglia

senza guadagno agli aspri vent’anni.

 

Sciatta città di sporchi vicoli sghembi,

che ho battuto come gli altri studenti

a notte per non rincasare vociando,

di giorno tra mense e dispense sciamando.

 

Di quello che sono da uomo e che penso

è tua la gran parte e della tua gente

avventizia, dedita a pagine, stanze

di biblioteche in qualunque dintorno.

 

A te ora non ho che cosa mi leghi,

salvo il ricordo di quanto imparavo

premendo con forza la punta dei piedi,

le mani verso un tomo sopra un ripiano.

 

Che ciascuno la sua vera famiglia

ce l’ha coi barlumi d’irata coscienza,

e non è stare soli, ma lucentezza

di civiltà, vorrei capisse mia figlia.

 

Che madre, sorella, che padre, fratello,

che per tutti l’origine è un danno

cui saper vivere è porre rimedio:

sentire le storie a corredo un fardello.

 

Anche questo possa Irene intuire:

che non si eredita senza fuggire

le fole dei cari che lì sempre sostano,

sull’uscio di casa a non dirti mai orfano.

 

Possa ammiccare dentro il silenzio

all’unico schiaffo che spinge a parlare:

l’impegno feroce a desiderare

tra fiato e sudore nessun diverbio.

 

E grazie ai propri fonemi sfatare

la segreta ambizione genitoriale:

che per loro si nasce. Invece mai.

Tesoro, già vivi per te. Quindi vai!

 

Tra crolli di tempo che ancora non sai,

tra sogni abortiti che ancora non fai,

trova presto, per queste strade in rovina,

qualcosa di tuo da cullare, bambina.

 

Un gesto di disalleanza col male

che siamo qui arresi a perpetuare,

vuoti baleni di un moderno sentire

sperso nel gorgo del suo incanutire.

 

Perché quale lotta per essere io,

quale promessa di affrancarsi da dio

può valerne la pena senza che poi

ad alcun vinto si dia requie fra noi,

 

folla di automi tutti indistinti

che ci accalchiamo nella cieca parvenza

di nominali e plurali diritti,

ed è per chi perde soltanto mattanza?

 

Volessi amar gli sconfitti, piccina!

Con più trasporto ti seguirei discosto,

io che non avverto la fine vicina

ma tardi son padre e in questo posto…

 

Sospettavo, dietro ricami di tende

ora non mie, piano terzo, interno cinque:

il niente volge in niente altro niente;

salva qualcosa, con un figlio, chiunque.

 

Perché si accaniva, in quel palazzo,

l’autismo d’un sopravvissuto ragazzo,

astruso oltre il giusto e cinico allora

come i romantici andati in malora.

 

Però gli anni ostinati lavorano

non a guarire, analisti, a curare

maglie scucite del sé da rammendare:

altre, sopra i nostri trascorsi, scolorano.

 

Dunque son qui, non per età, senescente,

ma per consunzione com’è l’Occidente:

tetri per via anche i corpi ventenni,

le pose, le facce di lungodegenti

 

che ci scambiamo in questa avaria

per cui sussiste ritorto il pensiero

senza colpi di coda come un impero

inetto a sanare la propria agonia.

 

Son qui. Mi sporgo sul dischiudere carne

come un tempo che finalmente m’accade

per accettare la mia espropriazione:

da me un altro, per non mia ostensione.

 

Scusami, amore: cos’altro so fare?

Allora credo – mentre guido veloce

con in tasca l’assegno, e una voce

frequente m’esorta a verificare

 

che dall’atto sempre sia lì quel profitto,

Pisa lontana, sui soldi è già notte,

io mai toccato così tanto denaro:

paga pur questo, è il nostro degrado –

 

che non sia, la costruzione dell’umano,

deviante dalla lettura di un testo:

usar ogni nostro sapere e talento

non per ridurla ciò che siamo, vogliamo

 

ma, la parola, per lasciarla avvenire

in quanto ci chiama se non appartiene

a noi che scopriamo un altro sentire,

e al diniego, all’assenso ci preme.

 

Ch’è la falla per cui tace utopia:

un io che non c’è, barricato alla norma

che già l’aliena, poi s’aliena alla forma

d’un progetto d’eguali per empatia.

 

Fari m’abbagliano dal retrovisore.

Le curve scavallano un tabernacolo.

S’abbracciano, come sfatti al tepore,

più slanci e vestigia nell’abitacolo.

 

Al parto c’è un mese e spiccioli giorni.

Altri due rettifili, poi Grottammare.

Tu, mi rinfranco, dal passato ci torni

con del capitale per ristrutturare

 

i cento metri che dividi con Stella,

rilevata la quota di tua sorella.

La nuova inquilina trarrà giovamento

dall’apprendistato al medicamento

 

che al vivere hai dato, ligio a ragione?

Sradicamento dall’effuso piacere

dello sconquasso, nutrendo il dovere

della speranza ma senza illusione.

 

(5-26 gennaio 2023)

 

 

Cultura di governo

 

Oh! Me so’ spiegata?

Non famo un cazzo

rispetto all’andazzo:

’na bella copiata

da quello de prima

ch’er monno lo stima,

e noi non capiamo

’na cippa de leggi.

Ma famo scorreggi

appena parliamo:

Dante sta a destra;

fu, la Resistenza,

massacri, banditi;

amor di radici;

confini blindati;

anglismi vietati.

Poi damo du’ spicci

a quelli poracci,

un po’ d’evasione

a quelli ben messi,

ché senza ’sti fessi

noi, all’elezione…

Però niente più.

Cjavemo soltanto

da fare pupù

con parole, tanfo:

dovemo soffiare

la involuzione

pre post culturale.

Se noi semo bravi

a fare ’sta merda

con gli sdoganati

rancori de destra,

poi sì che l’acclama,

’sta folla de corte,

mo’ come se chiama…

ah, già: l’omo forte.

Ché non se pò dì

er duce. No no.

I rossi non vò.

Li famo sparì,

s’ancora ce n’è.

Capito com’è?

La nostra missione:

aprire la via

a un periodone

che democrazia

neppure formale.

Er monno s’encendia,

arriva tregenda.

Dovemo allestì

nu po’ de plotoni

de tanti coioni

pronti a morì.

 

(1° aprile 2023)

 

***

Immagine: Angeli, Mitoraj