Un duplice chiarore – di Mario Tomai
- IL DUPLICE CHIARORE
Faglia trascorrente
Talvolta è necessario allontanarsi dal giorno
verso una luce resistente alle tenebre,
una tenebra bianca oscurante
nell’antico caos restare in ascolto
di fioche voci sommerse
di nomi vaganti
scritti in fogli
mulinati dal vento
nel silenzio quietamente minaccioso
e indifferente
la speranza è sorella
di una verità inaccessibile
c’è un tratto permanente
invisibile all’interno di te
nel cadente vacillamento dei sensi
un resto differente,
una seconda morte
nel nevaio del sogno
le dita tambureggiano
un ritmo di danza
di giovinezza perfetta
ci preservi un dio
dall’indifferente metamorfosi
un fantasma distante
una lacuna che salva –
eppure dobbiamo anche sentire
lo scroscio del caos
perché la ragione
non diventi a sua volta follia
legami il corpo
che non lo trascini
l’inespressivo insondabile
lo smisurato impenetrabile
verso l’inerte ebbrezza
il ghiaccio ordine
ardente di orde
le sotterranee madri
che masticano le ossa dei figli
«chi illude di signoreggiare le antitesi
soccombe ad esse»
rintrona il clangore
delle armature
di un fortebraccio qualunque
in una storta stolta trincea –
ti rivolgi ad un altro improbabile
se mai sorga ignoto
nella terra dove siamo e morremo
sotto le stelle della nostra nascita.
Gli dei sono diventati Oscuri
non voglio dire inesistenti
o che declinano e muoiono
ma solo che con ciclico moto imperioso come l’oceano
si ritirano
e solo sepolti li avviciniamo
tra i buchi lasciati dall’acqua (Char).
*
Fra due oscurazioni
– il sole che muore a occidente
l’assenza di luce che domina a oriente –
i voli migranti scrivono
in segreti cifrari
accenni di trame coerenti
che nessuno sa leggere
nuvole erose
trascorrenti segni
di muti verbali sospendono
dove ancora
nel cielo che annera
alla sua luce s’ostina
una già spenta stella.
*
Hai una parola che non si ripeta?
annunziatrice di albori
nel suo incavo
risonante di voci oscurate
di occluse cifre
di algoritmi incorporei
il fantasmagorico pallore
del secolo tenebra
s’irradia sulla barca che avanza
nel duplice chiarore.
*
I migratori che la tenebra sfiora
si abbandonano a un sogno di luce
nell’ora che si scinde
sul ponte della nave restiamo
ad osservare incerti
l’onda che si frange
in opposti chiarori:
il vento spento nelle vele tace.
*
È oscurata la fitta trama di segni
che tu leggevi nei voli ad oriente
invecchiata
seduta al mio fianco
la vecchia spia guarda il passaggio
di nuvole cineree
e per indurmi a parlare
favoleggia di ellissi dolorose
e della beffa del cerchio
con la voce arrochita
nel mare degli occhi
brillano pupille di tenebra
scendono
le iridi gocce di nebbia
in questo parco nascosto
a occidente
nella duplice oscurazione
splende fredda ed azzurra la luce
dei fiordi del Nord.
*
Senza varchi
in contrordine
gli storni bianchi s’infondono nei neri
e volano
sopra il mesto infinito dell’Ostiense
senza pausa inversi
per un breve sogno
di cristalli e di caos
mentre i male facenti e i ben adatti
mischiano gli ori e i bastoni
incantando noi attoniti
sotto il nero velario.
*
Coi vetri oscuranti sugli occhi
cerchi di non vedere l’eclisse,
la massa che incolore s’aggruma
a se stessa inarmonica
inaccessibile
iceluy soleil est faux or
da cui scendono
leggi di fuoco
e fredde rugiade inflessibili.
*
Nella torre antica
nel muto fervore
non hai più memoria dei segni;
l’inatteso
il vento oscurante
frange in suoni le sillabe –
rondini di voci vaneggiano
traverso i bianchi archi
migrano verso il mare e le accompagna
il tremore
dell’antico disordine.
*
Automne finissant,
éblouissante lueur
jaune des chênes
vagues de feuilles qui déferlent
la brise du Nord nous secoue
les choses se répétant disparaissent
le même devient autre
et néant
– même la tourelle du coin
n’est qu’ourlet de nuage
murmure invisible
des instants qui tombent,
girouette
où le vent prend figure
les ténèbres s’abritent
entre l’obélisque et l’arche
la pyramide et la roue
de grands Anges Noirs
annoncent l’orage
sur le Pont des Arts.
*
Fedeli
a un passato morente
ed a un futuro migliore che tarda
ostinatamente vestiti di nero
trascorrendo lasciamo la terra
delle voci canore
ed entriamo
nel rarefatto incorporale ignoto.
*
Vite trascorrenti in sogno
deliri inversi e traumi a ritroso
granata retroversa in fiaba
meravigliosa e nera.
*
Un filo nero ed osceno
lega i saggi sapienti
all’urlo delle folle rauche
lo sperdimento al vorticante nulla
nel primordiale silenzio
ascolti l’aspro zuikk
dell’ultimo uccello di neve
cha ancora canti
nella velatura del mondo –
nel bianco trascorrente tumulto
sta un tratto invisibile
un lume notturno
all’interno di sé.
*
Aruspice di sogni
credeva di interpretare il passato
e non di antivedere il futuro,
come poteva pensare
di immaginare così esattamente
l’urlo estraneo delle granate
il contagio e il fuoco
nelle chiese e nei campi
i palazzi svuotati
le scale che portano al nulla?
Nella duplice oscurazione
chi scegliere
tra il padre dell’orda e la madre spettrale?
*
Nella duplice oscurazione
non c’è peso e misura
nessuna adesione:
o al mondo che finisce
o a quello che sorge
e intanto passa la nostra vita
e prima sembra assai lentamente
e poi troppo veloce è trascorsa,
sogno senza peso
leggerezza mutante.
*
A Ruggero Savinio
Sotto il giardino
sono in agguato spie torve e grifagne
sibili di radio uncinanti
tu stai
sulla linea di torba
Maestro dei sommersi
di istmi e dischiusure
inteso al moto
che dissolve e incarna
sulle muraglie inferriate
tu cortese dipingi
luci d’ombre
favolosi unicorni
amorosi naufragi.
*
In nome di quale dio
recide il tuo cuore
un ramo d’ossidiana
fra le mani ti restano
scrosci di memoria
fragori di vuote conchiglie
voci d’altrove
che con debole forza
in attesa
contrai fra le dita.
*
Coesistere – tu dici –
in questa oscura terra
appena esserci ancora
senza essere più
tremano sulla tavola storta
i calici spaiati
che non si toccano a festa
tutto è meno e di più
di quanto non sia.
*
Poeti
Mandel’stam
nel mormorio che precede il suono
prima che sia parola pronunciata
Celan
nell’occhio inteso al baratro di neve
che non conosce palpebra di sonno
Sereni
nel vento nasce al dire delle dune
solo un canto d’attesa nel deserto
Char
nel lume che aspro insiste nella notte
e infinito s’infervora allo specchio.
*
Una desolata dolcezza ci preserva dall’onta
di uno smisurato furore
dal caos imprigionato
in ordini di ghiaccio
il tuo volto oscuro ci preserva
in somiglianze d’amore.
Nota. Duplice chiarore: così viene tradotto Zwielicht da Renata Colorni, nell’ultima edizione della Montagna magica. La “tenebra bianca” è un’immagine mitica in Mann e Stifter.
Nel testo è presente il ricordo di un bellissimo testo di Walter Benjamin Gabbiani, che culmina in questa frase: «A sinistra ogni cosa restava da decifrare, e il mio destino pendeva da ogni segno; a destra si era ormai realizzato da tempo, e non restava che un unico cenno silenzioso». Per noi a sinistra del cielo pare non ci sia più nulla da decifrare: ma in un vago chiarore intermedio i voli migranti della prima poesia scrivono segni.