Un duplice chiarore – di Mario Tomai

Un duplice chiarore – di Mario Tomai

16 Settembre 2022 Off di Francesco Biagi
  1. IL DUPLICE CHIARORE

 

Faglia trascorrente

 

Talvolta è necessario allontanarsi dal giorno

verso una luce resistente alle tenebre,

una tenebra bianca oscurante

nell’antico caos restare in ascolto

di fioche voci sommerse

di nomi vaganti

scritti in fogli

mulinati dal vento

nel silenzio quietamente minaccioso

e indifferente

 

la speranza è sorella

di una verità inaccessibile

 

c’è un tratto permanente

invisibile all’interno di te

nel cadente vacillamento dei sensi

un resto differente,

una seconda morte

 

nel nevaio del sogno

le dita tambureggiano

un ritmo di danza

di giovinezza perfetta

 

ci preservi un dio

dall’indifferente metamorfosi

un fantasma distante

una lacuna che salva –

eppure dobbiamo anche sentire

lo scroscio del caos

perché la ragione

non diventi a sua volta follia

 

legami il corpo

che non lo trascini

l’inespressivo insondabile

lo smisurato impenetrabile

verso l’inerte ebbrezza

il ghiaccio ordine

ardente di orde

le sotterranee madri

che masticano le ossa dei figli

 

«chi illude di signoreggiare le antitesi

soccombe ad esse»

 

rintrona il clangore

delle armature

di un fortebraccio qualunque

in una storta stolta trincea –

ti rivolgi ad un altro improbabile

se mai sorga ignoto

nella terra dove siamo e morremo

sotto le stelle della nostra nascita.

 

Gli dei sono diventati Oscuri

non voglio dire inesistenti

o che declinano e muoiono

ma solo che con ciclico moto imperioso come l’oceano

si ritirano

e solo sepolti li avviciniamo

tra i buchi lasciati dall’acqua (Char).

 

*

 

Fra due oscurazioni

– il sole che muore a occidente

l’assenza di luce che domina a oriente –

i voli migranti scrivono

in segreti cifrari

accenni di trame coerenti

che nessuno sa leggere

nuvole erose

trascorrenti segni

di muti verbali sospendono

dove ancora

nel cielo che annera

alla sua luce s’ostina

una già spenta stella.

 

*

 

Hai una parola che non si ripeta?

annunziatrice di albori

nel suo incavo

risonante di voci oscurate

di occluse cifre

di algoritmi incorporei

 

il fantasmagorico pallore

del secolo tenebra

s’irradia sulla barca che avanza

nel duplice chiarore.

 

*

 

I migratori che la tenebra sfiora

si abbandonano a un sogno di luce

 

nell’ora che si scinde

sul ponte della nave restiamo

ad osservare incerti

l’onda che si frange

in opposti chiarori:

il vento spento nelle vele tace.

 

*

 

È oscurata la fitta trama di segni

che tu leggevi nei voli ad oriente

 

invecchiata

seduta al mio fianco

la vecchia spia guarda il passaggio

di nuvole cineree

e per indurmi a parlare

favoleggia di ellissi dolorose

e della beffa del cerchio

con la voce arrochita

 

nel mare degli occhi

brillano pupille di tenebra

scendono

le iridi gocce di nebbia

in questo parco nascosto

a occidente

 

nella duplice oscurazione

splende fredda ed azzurra la luce

dei fiordi del Nord.

 

*

 

Senza varchi

in contrordine

gli storni bianchi s’infondono nei neri

e volano

sopra il mesto infinito dell’Ostiense

senza pausa inversi

per un breve sogno

di cristalli e di caos

mentre i male facenti e i ben adatti

mischiano gli ori e i bastoni

incantando noi attoniti

sotto il nero velario.

 

*

 

Coi vetri oscuranti sugli occhi

cerchi di non vedere l’eclisse,

la massa che incolore s’aggruma

a se stessa inarmonica

inaccessibile

 

iceluy soleil est faux or

da cui scendono

leggi di fuoco

e fredde rugiade inflessibili.

 

*

 

Nella torre antica

nel muto fervore

non hai più memoria dei segni;

l’inatteso

il vento oscurante

frange in suoni le sillabe –

rondini di voci vaneggiano

traverso i bianchi archi

migrano verso il mare e le accompagna

il tremore

dell’antico disordine.

 

*

 

Automne finissant,

éblouissante lueur

jaune des chênes

vagues de feuilles qui déferlent

 

la brise du Nord nous secoue

 

les choses se répétant disparaissent

le même devient autre

et néant

– même la tourelle du coin

n’est qu’ourlet de nuage

 

murmure invisible

des instants qui tombent,

girouette

où le vent prend figure

 

les ténèbres s’abritent

entre l’obélisque et l’arche

la pyramide et la roue

 

de grands Anges Noirs

annoncent l’orage

sur le Pont des Arts.

 

*

 

Fedeli

a un passato morente

ed a un futuro migliore che tarda

ostinatamente vestiti di nero

trascorrendo lasciamo la terra

delle voci canore

ed entriamo

nel rarefatto incorporale ignoto.

 

*

 

Vite trascorrenti in sogno

deliri inversi e traumi a ritroso

granata retroversa in fiaba

meravigliosa e nera.

 

*

 

Un filo nero ed osceno

lega i saggi sapienti

all’urlo delle folle rauche

lo sperdimento al vorticante nulla

nel primordiale silenzio

ascolti l’aspro zuikk

dell’ultimo uccello di neve

cha ancora canti

nella velatura del mondo –

nel bianco trascorrente tumulto

sta un tratto invisibile

un lume notturno

all’interno di sé.

 

*

 

Aruspice di sogni

credeva di interpretare il passato

e non di antivedere il futuro,

come poteva pensare

di immaginare così esattamente

l’urlo estraneo delle granate

il contagio e il fuoco

nelle chiese e nei campi

i palazzi svuotati

le scale che portano al nulla?

 

Nella duplice oscurazione

chi scegliere

tra il padre dell’orda e la madre spettrale?

 

*

 

Nella duplice oscurazione

non c’è peso e misura

nessuna adesione:

 

o al mondo che finisce

o a quello che sorge

 

e intanto passa la nostra vita

e prima sembra assai lentamente

e poi troppo veloce è trascorsa,

sogno senza peso

leggerezza mutante.

 

*

 

A Ruggero Savinio

 

Sotto il giardino

sono in agguato spie torve e grifagne

sibili di radio uncinanti

 

tu stai

sulla linea di torba

Maestro dei sommersi

di istmi e dischiusure

inteso al moto

che dissolve e incarna

 

sulle muraglie inferriate

tu cortese dipingi

luci d’ombre

favolosi unicorni

amorosi naufragi.

 

*

 

In nome di quale dio

recide il tuo cuore

un ramo d’ossidiana

 

fra le mani ti restano

scrosci di memoria

fragori di vuote conchiglie

voci d’altrove

che con debole forza

in attesa

contrai fra le dita.

 

*

 

Coesistere – tu dici –

in questa oscura terra

appena esserci ancora

senza essere più

 

tremano sulla tavola storta

i calici spaiati

che non si toccano a festa

 

tutto è meno e di più

di quanto non sia.

 

*

 

Poeti

 

Mandel’stam

nel mormorio che precede il suono

prima che sia parola pronunciata

 

Celan

nell’occhio inteso al baratro di neve

che non conosce palpebra di sonno

 

Sereni

nel vento nasce al dire delle dune

solo un canto d’attesa nel deserto

 

Char

nel lume che aspro insiste nella notte

e infinito s’infervora allo specchio.

 

*

 

Una desolata dolcezza ci preserva dall’onta

di uno smisurato furore

dal caos imprigionato

in ordini di ghiaccio

il tuo volto oscuro ci preserva

in somiglianze d’amore.

 

 

Nota. Duplice chiarore: così viene tradotto Zwielicht da Renata Colorni, nell’ultima edizione della Montagna magica. La “tenebra bianca” è un’immagine mitica in Mann e Stifter.

Nel testo è presente il ricordo di un bellissimo testo di Walter Benjamin Gabbiani, che culmina in questa frase: «A sinistra ogni cosa restava da decifrare, e il mio destino pendeva da ogni segno; a destra si era ormai realizzato da tempo, e non restava che un unico cenno silenzioso». Per noi a sinistra del cielo pare non ci sia più nulla da decifrare: ma in un vago chiarore intermedio i voli migranti della prima poesia scrivono segni.