Postille pandemiche – di Mario Pezzella

Postille pandemiche – di Mario Pezzella

10 Gennaio 2022 Off di Francesco Biagi

Quelle che seguono sono postille a due articoli che ho pubblicato su “Terzo giornale”, su cui non ho nulla da modificare:

https://www.terzogiornale.it/2021/10/06/scene-di-ordinario-capitalismo-oggi-come-ieri/

https://www.terzogiornale.it/2021/09/07/dubbi-sulla-campagna-vaccinale/

 

Gli imprecisi paragoni tra lo stato d’eccezione analizzato da Schmitt e la sospensione attuale della democrazia, tra le leggi speciali naziste e il green pass, impediscono di comprendere la specificità della situazione attuale e di proporre forme di resistenza efficaci: il neoliberismo autoritario che stiamo vivendo è altra cosa dal mito totalitario del fascismo.

L’aspetto peggiore della sua politica, che continua del resto quella dei governi precedenti,  è il finanziamento dei campi di concentramento per migranti, in Italia e all’estero, la strage accettata sulle nostre coste, l’appoggio dato a una vergognosa politica europea sulla migrazione. Continua il genocidio dei migranti in mare e la costruzione di muri spinati un po’ dovunque. In effetti, più che il green pass, queste cose meriterebbero le barricate. Ma invece, e questo è appunto tipico del neoliberismo autoritario, si sollecita la distrazione, si rigetta l’inaccettabile nell’invisibile, ed ogni responsabilità nelll’inesistente. Sono stati assaltati dei centri vaccinali, con grande rilievo mediatico; nessuno parla invece di quei pochi che hanno osato scardinare i fili spinati che circondano gli accampamenti dei migranti. E un generale silenzio stampa circonda la vergognosa sentenza con cui si è voluto punire Mimmo Lucano.

 

Sembra che l’antagonismo a questo governo si concentri soprattutto sulle questioni sanitarie e ponga in secondo piano quelle sociali (delegate sostanzialmente al solo Papa Francesco). Sarebbe meglio parlare di un potere economico, piuttosto che sanitario. Sta avvenendo – a livello mondiale – una gigantesca innovazione distruttiva del capitale, si demolisce e penalizza il mondo del lavoro, si violano i diritti umani continuamente e ripetutamente. Il governo Draghi è l’espressione italiana chiamata a difendere e stabilizzare questo nefasto sistema di dominio. Che la pandemia possa diventare un’occasione per schermare e giustificare questo processo è chiaro: si tratta però di un fenomeno iniziato molto prima della diffusione del virus. La questione sanitaria è subordinata alla struttura attuale del capitale.

 

Il governo Conte era certo confuso e pasticciato, ma aveva timidamente tentato di conciliare la gestione della pandemia con alcune misure di ordine sociale; neanche questo è stato ritenuto possibile, fino al colpo di stato parlamentare che ha portato all’insediamento di Draghi. Lo stato di diritto ha rivelato di essere una fragile impalcatura, ormai soggetta al diretto ingresso in politica del potere finanziario. La mediazione politica autonoma non è più necessaria.

 

È un errore piuttosto grossolano quello di paragonare il regime autoritario in cui si sta trasformando la nostra democrazia col nazismo, il green pass con la stella gialla o con i campi di sterminio: oltre che essere a mio parere profondamente offensivo per le vittime di allora e di ora. In realtà, come ha dimostrato Foucault nel seminario sull’Ermeneutica del soggetto, il neoliberismo duro e puro come teoria e come prassi nasce piuttosto come regime autoritario alternativo a quello nazista. Più che alla rinascita del  nazismo, stiamo assistendo all’estrema autodifesa di quel modello neoliberista, che richiede uno Stato che sia una sua funzione, ma allo stesso tempo l’assoluto predominio del mercato e del liberismo in economia. Col governo Draghi siamo giunti a un potere commissario sul piano politico: commissari sono alcuni dei suoi ministri, in campi specifici, come Cingolani alla transizione ecologica. Un potere commissario si presenta come garante e restauratore della democrazia, arbitrale e neutro, ma in realtà ne mantiene solo la messa in scena formale, distruggendone la sostanza vivente.

Se si confonde tutto ciò col nazismo ci si espone a un grave errore: quello di rimpiangere il neoliberismo più tiepido e tollerante degli anni Novanta del 900, con le sue ideologie individualiste, la concezione consumistica della libertà, l’imprenditoria di se stessi. Ma è proprio dai disastri ecologici, morali e sociali provocati da quel liberismo  euforico che procede ora la necessità di una sua stretta autoritaria: pur rimanendo nel suo campo di riferimento ideologico. Non si può fondare un’opposizione all’attuale regime sul rimpianto confuso dell’individualismo liberista, confondendolo con quello libertario, che è tutt’altra cosa.

 

D’altra parte lo stato d’emergenza sanitaria dovuto alla diffusione del virus non è equiparabile allo stato d’eccezione nazista. Uno Stato può rispondere in modo diverso a un’emergenza sanitaria, come si è visto nel ‘900 nel caso dell’epidemia di spagnola. In Spagna si organizzarono messe, processioni e Te Deum (con qualche nefasta conseguenza), nell’Unione Sovietica Lenin fondò il primo sistema di sanità pubblica gratuita, gli Stati Uniti affidarono la gestione a fondazioni private. Nessuno negava l’emergenza, nessuno ha proclamato in questo caso lo stato d’eccezione per affrontarla, eppure la gestione sanitaria è stata estremamente diversa, a seconda dei rapporti di forza sociali esistenti in quel momento.

 

La campagna vaccinale di questo governo è confusa, piena di contraddizioni, sospetta di sudditanza a poteri economici e politici, inutilmente arbitraria e autoritaria. Perché indurre a marzo a vaccinarsi con i vaccini ad adenovirus, sostenendo che erano ottimi ed efficaci, per dire due mesi dopo che J&J protegge come l’acqua fresca? Perché costringere a una vaccinazione eterologa ad MRNA? Perché vaccinare i bambini se fino a un mese fa ci dicevano che non correvano rischi? Perché fino a due mesi fa l’intervallo minimo per un richiamo vaccinale non pericoloso era di sei mesi e ora è accorciato a quattro? In base a quale evidenza medica e scientifica vengono prese queste decisioni? Dicevano fesserie e menzogne prima o le dicono adesso? Cos’è tutto ciò: ignoranza, incompetenza o sudditanza ondivaga agli umori e ai poteri forti e ai farmacolisti del momento? E in ogni caso: perché non ci comunicano le ragioni che stanno dietro a così violente oscillazioni? Misure spacciate come sanitarie dipendono in realtà da imperativi economici: così le scuole devono  comunque rimanere aperte e i bambini devono comunque essere vaccinati, perché i genitori devono innazitutto andare al lavoro senza pretendere ristori o un welfare efficace.

 

Massimo Cacciari ha rilasciato un’intervista ad Affariitaliani.it (giovedì, 9 dicembre 2021) (ma l’attendibilità del testo va verificata) in cui afferma che «siamo di fronte a una deriva delle democrazie occidentali e quando il popolo si sveglierà saranno dolori»,  d’altra parte dice di Draghi che «fa il suo mestiere con grande competenza e sta lavorando al piano nazionale per implementarlo nel modo più rapido possibile». Dunque il noto filosofo critica la politica sanitaria del governo Draghi, parla di fine della democrazia, e insieme approva la sua politica finanziaria: quando invece è da questa che nasce come conseguenza il crollo del regime parlamentare. I termini della critica sono invertiti, ciò che è contingente diventa causa prima, e la critica si concentra sulla superficie dei fenomeni. Si fa la voce grossa su questo o quel provvedimento di carattere giuridico, e si trascura completamente il piano strutturale del capitalismo attuale, perché in realtà non ci si sogna nemmeno di metterlo in discussione. Purtroppo però questa sua ultima ristrutturazione prevede che la democrazia vada sostanzialmente nel magazzino degli oggetti dismessi.

 

Il noto filosofo Agamben ha di recente affermato che è finito il tempo dei convegni e che è ora, contro la politica sanitaria del governo, di passare all’azione; cita la resistenza contro il nazismo, come modello di ciò che si dovrebbe fare. Resta qualche dubbio su cosa Agamben intenda veramente. Qualcuno un po’ esagitato potrebbe pensare che invadere la sede della CGL, usare violenza nelle piazze, assaltare i centri vaccinali e picchiare gli infermieri, siano “azioni dirette” nel senso auspicato dal filosofo. Magari invece lui intende forme di desistenza e di disobbedienza civile, “gandhiane”, per così dire. Oggi le parole non possono essere lasciate in una diffusività oracolare.

 

La critica radicale contro la gestione della pandemia e della campagna vaccinale dovrebbe aver cura di distinguersi dal negazionismo: che parte dalla presupposizione, più o meno sottaciuta, che il covid non esista o sia una banale influenza. Questa posizione, in fondo, rende inutile, secondaria e impossibile proprio la critica del modo in cui la pandemia viene affrontata: a che serve occuparsi della sua gestione, se in realtà il virus non esiste? Perché, ad esempio, preoccuparsi dell’egoismo occidentale che nega vaccini e medicine all’Africa, se non esiste? E in effetti il negazionismo si coniuga a una totale indifferenza verso gli aspetti sociali della gestione sanitaria. Occorre distinguere tra il pensiero critico e la negazione magico-arcaica del problema. Forse il virus è davvero uscito da un laboratorio, forse è stato prodotto da indebite sperimentazioni biologiche e militari, volte forse a combattere il “terrorismo”  e le sue minacce di guerra biologica: i responsabili dovrebbero forse essere processati per crimini contro l’umanità. Ma al negazionista tutto questo interessa poco: il virus non esiste, chiedersi come sia stato prodotto per lui non ha senso. Negare l’esistenza del virus impedisce la critica alle condizioni e ai poteri che ne hanno favorito la diffusione, e alla gestione specifica dell’emergenza sanitaria, oppure la sposta su un piano fantasmatico e complottista degno dei Protocolli di Sion.

 

Anche riguardo agli antivaccinisti non si può fare di tutta un’erba un fascio: si rimane ancora nel campo del possibile razionale contestando il green pass, pensando che i vaccini non siano risolutivi o dubitando della politica sanitaria del governo. Ma il vero negazionista parte dal presupposto che il Covid sia un fantasma creato dal potere. Qui non siamo più nel campo del razionale e discutibile, ma in quello dell’esorcismo magico: il male non esiste, non può esistere, per lo meno quello che mette in crisi le mie categorie e le mie certezze identitarie. Stupisce che coincidano in tal modo pulsioni magico-arcaiche e giustificazioni teoriche derivate da Schmitt o da Heidegger, Agamben, Bolsonaro, e il cardinale Mueller,  i discorsi da bar e quelli di eminenti filosofi. Le loro affermazioni sono addirittura sovrapponibili. Ma i movimenti profondi dell’inconscio del collettivo non conoscono barriere di cultura o di classe: in questo caso essi agiscono nel senso di negare l’esistenza di un male che sconvolge il proprio uso della vita, senza che si sappia come reagire a un trauma tanto profondo. Piuttosto che accettare un’esperienza reale intollerabile si preferisce la sua negazione immaginaria.

 

Il vero fascismo esiste in sottofondo, anche se con movimenti per ora minoritari, e sta sfruttando l’insopportabilità dell’attuale potere finanziario per rilanciarsi come paradossale difensore delle libertà individuali, raccogliendo e deformando il bisogno di conflitto sociale. Il fascismo come rivoluzione passiva di un’esigenza di cambiamento sociale è una tradizione profondamente radicata nel nostro paese. Esso concentra l’odio su un particolare, salvando in generale l’integrità del sistema dominante; per esempio combatte l’usura, ma non la produzione di plusvalore che ne è la radice. Così ora combatte il governo Draghi, concentrandosi soprattutto sulla pandemia e sui suoi problemi contingenti, e ignorando il nesso che lega questi comportamenti particolari alla struttura attuale del capitale. Lotta contro le case farmaceutiche, ma non sfiora neppure le cause profonde, l’economia che porta alla loro abnorme influenza.

 

Se l’equiparazione col fascismo è fuorviante nel comprendere regimi come quelli di Macron e di Draghi, è vero che i concetti ripresi dalla tradizione della critica radicale possono solo in parte essere adattati alla situazione attuale, che si tratti del concetto di totalitarismo morbido, di società spettacolare integrata,

o di bonapartismo o di postdemocrazia. In sostanza non siamo di fronte a una mobilitazione totale di tipo fascista, ma a uno Stato che si pone come arbitro e mediatore dei conflitti, nella sospensione “provvisoria” delle procedure democratiche, garante della potenza anonima, benché anarchica e distruttiva, del mercato. Draghi e Macron non sono grandi dittatori, ma grandi mediatori.

L’imperatore è stato sostituito da un banchiere, il grande mediatore incarna direttamente la circolazione del danaro e le sue esigenze inderogabili. L’importante è che sia disinnescato e reso inesistente e invisibile il conflitto sociale. Se poi questa ricetta non funzionasse, allora sì, si può ricorrere al fascismo e passare dalla violenza mediata a quella immediata. Qualche accenno o avvertimento in tal senso si può leggere nelle dure repressioni poliziesche di Macron.

 

Ciò che qui chiamiamo neoliberismo autoritario e fascismo pseudolibertario, Debord aveva cominciato a distinguerle come due forme di società spettacolare molto diverse: quella integrata e quella concentrata. Nel declino attuale della prima forma, quella diffusa (la democrazia affluente della fantasmagoria delle merci) non c’è dubbio che i poteri attuali preferirebbero il neoliberismo autoritario a una vera e propria dittatura sovrana: ma se questo dovesse fallire la prova sono pronti a rivolgersi a una forma rinnovata di fascismo, o di populismo, in grado di offrire alle masse una rappresentazione mitica e fantasmatica di rinnovamento. Le due forme possono alternarsi secondo le necessità contingenti del capitale.

 

Colpisce la rabbia con cui draghiani e novaxisti si aggrediscono ignorando qualsiasi dubbio o questione specifica: in realtà le discussioni sul merito dei problemi contano poco, si aggregano invece identità fantasmatiche e autoritarie, intorno a significanti vuoti come quelli degli ultras delle squadre di calcio. I governisti si appellano all’autorità indiscussa della scienza. Ma la scienza non ha mai avuto una verità: è stata sempre una verità mutevole e in divenire. Celine ha scritto una biografia del dottor Semmelweiss, il medico che ha scoperto che la morte delle partorienti era spesso causata dall’uso di strumenti operatori non sterilizzati. La scienza del tempo lo ha ritenuto un mitomane pazzo, spingendolo al suicidio. Ora ciò che lui diceva è riconosciuto come una verità indiscutibile. Ciò dovrebbe suggerire un dialogo prudente e accorto sui benefici e i malefici dei metodi di cura, invece che uno scontro di verità apodittiche, che ha più a che fare con una fragilità psicologica profonda che con l’interesse per la verità.

 

Di fronte a un pericolo sanitario incombente esistono diverse forme di reazione immaginaria: 1)La minaccia è ovunque 2) La minaccia è fattizia, in verità non esiste 3) Il pericolo è creazione fantastica e maligna di qualcuno: o di chi lo diffonde o di chi ne sparge la voce, mentre in verità è solo un fantasma. Nel primo caso la minaccia diventa così generica da dare l’impressione che qualsiasi contromisura sia inutile; nel secondo, si nega completamente un pericolo che la coscienza non riesce ad assimilare e accettare; nel terzo si indicano colpevoli scelti a caso come capri espiatori.

I veri responsabili sorridono dietro le quinte. Il pericolo diviene generico e indeterminato e non viene affrontato nella sua natura specifica. La peste paralizza qualsiasi critica e opposizione; la peste è solo un fantasma (e così può diffondersi liberamente); medici incapaci e untori coprono gli autori del disastro sociale e ambientale che ha generato le condizioni della sua diffusione,  e della distruzione della sanità pubblica.

La rabbia si scarica sugli infermieri e risparmia i finanziatori dei laboratori da cui il virus è uscito, o i responsabili delle condizioni sociali e finanziarie che lo rendono inarrestabile.

 

In nome del vaccino e del no-vaccino si rompono amicizie di lunga data, tra persone che hanno condiviso lotte e ideali per anni. Sorprende l’odio profondo, l’attitudine autoritaria e intollerante con cui si confrontano draghiani e novaxisti: tanto che mi sento spinto ogni volta a parteggiare per quelli che non parlano, salvo poi avere la reazione opposta ed inversa. Una volta ci si confrontava così su temi ritenuti importanti: lotta armata sì o no, stalinismo o eresie trotzkiste, comunismo o socialismo libertario. Anche la raffica di espulsioni e scomuniche che hanno contraddistinto la storia della sinistra venivano motivate con visioni diverse dei fondamenti della vita. Oggi la stessa carica emotiva viene investita sulla questione vaccini, e la cosa importante non è tanto la loro maggiore o minore efficacia, la loro maggiore o minore sicurezza, ma la sopraffazione dell’altro nemico. In questo senso La coppia amico-nemico di Schmitt sembra purtroppo funzionare davvero: e cioè l’importante sembra la costruzione e la distruzione dell’altro, non la confutazione delle sue ragioni. Una discordia primordiale e arcaica primeggia sul discorso razionale, più che con partiti e movimenti di opinioni abbiamo a che fare con orde. In questo luogo infero si sta spostando l’inconscio del collettivo.

 

Questa pandemia ci pone a confronto con la natura ostile, che credevamo di avere vinto e domato. È vero, come è vero che c’è in generale una difficoltà culturale, forse addirittura una impossibilità, ad elaborare nel nostro ordine simbolico la morte, le malattie, i lutti. La società del consumo ci ha indotto a rimuovere l’aspetto tragico dell’esistenza, quello contro cui Leopardi invocava nella Ginestra la solidarietà umana. È però anche vero, d’altra parte, che l’ostilità della natura non è più primordiale e creaturale, ma si palesa ora all’interno di coordinate simboliche e culturali malate e corrotte. Il virus è un fenomeno naturale, o forse anche un prodotto perverso di alterazioni di laboratorio; la sua presenza si manifesta entro l’autodistruttività del nostro ordine simbolico, e ne intensifica la crisi.

D’altra parte è giusto dire che lo Stato dovrebbe contemperare le libertà individuali con le esigenze sociali e sanitarie: ma come fidarsi dei nostri Stati? Da decenni il controllo sociale soffocante, giustificato dalla lotta al terrorismo (tra l’altro proprio ora misteriosamente scomparso), ha permesso di annullare il conflitto sociale, di perpetuare una disuguaglianza intollerabile, di praticare crimini contro l’umanità nei confronti dei migranti. Oscuramente sentiamo di essere ingannati e privati della libertà. Tutto ciò si sfoga parzialmente e miticamente nella lotta contro il vaccino e la “dittatura sanitaria”. La critica ha il compito di comprendere il nodo reale della protesta oltre la sua veste immaginaria, la reale violenza del governo attuale, dietro quella fantasmatica o derivata.

 

 

Immagine di copertina: La peste di Azoth, dipinto di Nicolas Poussin (1631).