Guy Debord e la questione ecologica. Recensione a “Ecologia e psicogeografia”, antologia di testi a cura di G. Marelli – di Francesco Biagi

Guy Debord e la questione ecologica. Recensione a “Ecologia e psicogeografia”, antologia di testi a cura di G. Marelli – di Francesco Biagi

19 Maggio 2021 Off di Francesco Biagi

1. Da qualche tempo, la questione ecologica è considerata, finalmente, come un “fatto sociale totale” degno di essere studiato al pari di altri problemi innescati dalla nostra modernità. Non era scontato: il tema, in passato, era spesso solo la “ciliegina sulla torta” di altre riflessioni affini, ma mai come oggi la questione ecologica è stata riconosciuta parte “dell’impasto” o comunque uno degli “ingredienti principali” di quella “torta”, che è metafora della riflessione delle scienze sociali che si pongono come obiettivo una critica ragionata dell’esistente. In tale processo di (re)naissance dell’ecologia nell’ambito delle scienze sociali, possiamo annoverare a pieno titolo l’antologia di scritti ecologisti di Guy Debord dal titolo Ecologia e psicogeografia (febbraio 2021) edita dalla casa editrice Eleuthera e curata da Gianfranco Marelli.[1] Inoltre, auspichiamo che la riflessione debordiana possa contribuire a rinfoltire lo spettro filosofico e sociologico più ampio dell’eco-marxismo e dell’ecologia politica critica.

Il volume antologico curato da Marelli è molto utile, in modo particolare, per tematizzare la questione dell’ecologia politica nel pensiero di Debord e del movimento situazionista. Ci sarà, inoltre, chi sarà attratto dai temi ecologisti espressi nel titolo dell’antologia e per questo si avvicinerà per la prima volta al pensiero dell’autore francese, come se il nuovo interesse ecologista fosse anche un modo, grazie all’antologia, per far conoscere Debord e il pensiero situazionista alle giovani generazioni dei movimenti ecologisti come Friday for Future ed Extinction Rebellion.

 

2. Debord non è un pensatore propriamente ecologista e non è nemmeno un autore che “tinge di verde Marx e il marxismo”. Tuttavia, Debord tematizza la questione ecologica e la necessità di una risposta politica concreta, riflettendo sulle condizioni stesse della sopravvivenza della natura e dell’essere umano a partire da una società organizzata capitalisticamente dallo Spettacolo.

In primo luogo, il totalitarismo del valore di scambio e della capacità di rendere merce ogni cosa da parte dello Spettacolo è l’elemento che induce Debord di riflettere sugli esiti nefasti del capitalismo fordista. La fenomenologia della “colonizzazione della vita quotidiana”, delineata, da un lato, da parte della società dei consumi emersa negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento e dall’altro lato dall’organizzazione fordista che plasma il vissuto umano al ritmo della fabbrica, è il terreno fertile da cui emergono anche le riflessioni ecologiste di Debord. Di conseguenza, il significato di ecologia è molto spesso contestualizzato nella critica della vita quotidiana dell’universo urbano espresso dalla modernità (si veda la postfazione a p. 151). La sconsiderata produzione di spazio urbano è, per Debord, uno dei sintomi più evidenti dell’erosione e della distruzione degli equilibri ecologici e ambientali. Detto in altri termini più attuali: sono le problematiche che emergono a partire dal “Pianeta degli slum” (Mike Davis) che portano Debord a riflettere su alcune questioni ecologiche.

A mio parere, in Debord è sempre presente la riflessione di Fourier letta attraverso Marx, ovvero l’idea di riconquistare una relazione armonica con la natura e l’ambiente per circoscrivere l’utilità degli artifici tecnologici umani, contro la disumanizzazione e la sottomissione introdotta dai rapporti capitalistici.

L’intuizione del curatore è proprio questa: per comprendere l’ecologismo di Debord è necessario recuperare anche il contesto entro cui esso si fa strada. Per questo motivo, ritroviamo la traduzione di testi debordiani che riguardano l’architettura e la città e i temi classici del situazionismo come la politicizzazione dell’arte, la  “teoria della deriva” o “le istruzioni per l’uso del detournement”, fino a due capitoli tratti dai Commentari e il celebre articolo Prospettive di modificazioni coscienti nella vita quotidiana che riassume l’intervento tenuto da Debord all’interno del ciclo seminariale sulla vita quotidiana organizzato nei primi anni Sessanta da Henri Lefebvre. Gli strumenti per accompagnare il lettore all’interno di questa ampia costellazione di testi sono contenuti nella postfazione finale a firma del curatore: è un testo necessario, in quanto il linguaggio di Debord spesso è ostico e molto criptico.

 

3. In secondo luogo, ed è qui che entriamo nel cuore della riflessione di Debord, l’autore francese rifiuta completamente la parola “ecologia”. Il termine è considerato ormai inutilizzabile, dato che spesso la parola è usata per il vano tentativo di rendere “sostenibile” lo sviluppo capitalista. L’attualità di questo rifiuto consiste nel farci riflettere sull’impossibilità di un “capitalismo verde”, di una “green economy” e forse, spingendoci ancora di più oltre, di un “green new deal” che superi la pandemia del Covid da un punto di vista ambientale, economico e sociale.

Su queste basi, Debord stabilisce una differenza tra il concetto di “ecologia” (discusso nel contesto urbano e spaziale) e di “psicogeografia”. Quindi, è doveroso evidenziare i significati specifici del lessico debordiano. Per “ecologia” l’autore situazionista indica le teorie urbanistiche funzionaliste che si occupano dell’habitat umano. Il termine “ecologia” è usato per indicare il vano tentativo di ristabilire un’unità nello spazio urbano a partire dalla sua separazione funzionalista. Scrive Marelli nella postfazione: “Anche se in modo improprio, per la prima volta appare in uno scritto di Debord il termine ecologia a indicare la complessità dell’ambiente cittadino trasformatosi a seguito dell’irruenza con la quale la società dell’abbondanza ha omologato il territorio urbano, distruggendone le particolarità e le unicità, che in precedenza lo caratterizzavano storicamente” (p. 147). L’ecologia, per Debord, lotta contro i mulini a vento e non realizzerà mai i suoi obiettivi, poiché ha origine nei presupposti dell’urbanesimo dominante, ovvero il principale processo di distruzione del mondo naturale in quanto sottomesso alle logiche del profitto. La psicogeografia, invece, è la proposta teorica avanzata da Debord e dal movimento situazionista. La teoria della psicogeografia si occupa dei loisirs, ovvero di combinare il “gioco” e la “festa” con l’ambiente urbano, di riorganizzare la spazialità urbana su basi “ludiche” (nel senso utilizzato da Fourier). Infatti, se “l’ecologia si propone lo studio della realtà urbana d’oggi, e ne deduce alcune riforme necessarie per armonizzare l’ambiente sociale che conosciamo, la psicogeografia, che ha senso solo come dettaglio di un tentativo di abbattimento di tutti i valori della vita attuale, si muove sul terreno della trasformazione radicale dell’ambiente. Il suo studio di una ‘realtà urbana psicogeografica’ non è che un punto di partenza per delle costruzioni più degne di noi” (p. 71). Quindi, la trasformazione prospettata dalla psicogeografia prevede una società post-capitalista che riconsideri globalmente la vita umana nel contesto ambientale in cui è inserita.

 

4. In terzo luogo, il curatore nella postfazione evidenzia anche i limiti della proposta teorica di Debord nel contesto ecologico: ad esempio, è incapace di confrontarsi con “l’ecologia sociale” a lui contemporanea che ha tra i maggiori esponenti Murray Bookchin, il quale negli anni Sessanta muoveva i suoi primi passi verso questa proposta politica. Se da un lato, Debord ci aiuta a riconsiderare la questione ecologica all’interno dello sviluppo più complessivo della modernità capitalista, dall’altro lato l’approfondimento del dibattito ecologico non è tra le sue principali preoccupazioni. Tra le esternalità negative del capitalismo troviamo anche la questione ecologica, purtuttavia, se il lettore si aspetta ulteriori approfondimenti, rimarrà presto deluso. Non credo si tratti di dover rimproverare a Debord delle carenze nel suo pensiero, ma di esaminarne pregi e limiti rispetto al ventaglio di interessi da lui sviluppati. Il pregio principale è l’inseparabilità del problema ecologico da una critica spietata della vita quotidiana sotto il comando dello sviluppo capitalista, e tale inseparabilità comprende l’idea di come la questione ecologica è anche, contemporaneamente, una questione urbana. Invece, il principale limite è quello di non approfondire più di tanto questa affermazione, oltre il rifiuto della parola “ecologia”, senza delineare della pratiche concrete che possano tracciare una nuova proposta politica sulla vita quotidiana.

 

5. In quarto luogo, la riflessione dell’ecologia prende forma rispetto al problema dell’impatto e dell’inquinamento ambientale. L’articolo Il pianeta malato denuncia l’industrializzazione completa del pianeta Terra a causa della quale è iniziata una lenta agonia verso il collasso degli equilibri della natura. L’intera natura e ogni sua specie sono entrati a far parte della “sfera dei beni economici” (p. 113), poiché l’economia politica continua incessantemente a sovra-sviluppare le sue possibilità di profitto. E giungiamo alla seconda questione messa in luce da Debord: il business derivato dall’inquinamento ambientale. Vi è, da un lato, il commercio “verde” degli antidoti al “veleno” iniettato dalla mostruosità industriale, dall’altro, coloro che si candidano ai posti di potere per amministrare la catastrofe. Non solo, vi sono celebri trattati internazionali che prevedono lo scambio dei “crediti di emissione”, ovvero una vera e propria compravendita di permessi per inquinare, non rispettando quei criteri minimi decisi nei medesimi accordi. Fin dagli anni Settanta, Debord aveva previsto i vani meccanismi contemporanei per combattere il cambiamento climatico proposti dalla “Conferenza ONU sui cambiamenti climatici” nelle cosiddette “Conferenze delle Parti” (COP).

 

6. Infine, nella Vera scissione dell’Internazionale Situazionista (1972), Debord afferma che “l’inquinamento e il proletariato sono oramai i due pilastri della critica dell’economia politica” (p. 174). Parafrasando, possiamo dire che l’autore francese, per sviluppare un’autentica critica anti-capitalista, ci indica che, accanto al nome del soggetto preposto ai percorsi d’emancipazione, deve essere presente anche la questione ecologica, seppur delineata – ai nostri occhi – nel significato ancora grezzo di “inquinamento”. Se vi è, quindi, un’attualità di Debord nel dibattito ecologico-politico è proprio questa: la critica della modernità capitalista deve radicarsi simultaneamente a partire da due questioni, la prima è l’organizzazione politica degli oppressi e la seconda è la tematizzazione di un percorso collettivo di coscientizzazione riguardo alla questione ecologica quale punto dirimente per pensare il sovvertimento del tardo capitalismo neoliberista.

 

Note:

[1] G. Debord, Ecologia e psicogeografia, antologia di testi a cura di G. Marelli, Eleuthera, Milano, 2021.