Cristina Corradi – selezione di poesie da Destini capitali, Ensemble, 2020, con una recensione di Emanuele Macrì
Cristina Corradi – selezione di poesie da Destini capitali, Ensemble, 2020, con una recensione di Emanuele Macrì
Sempre sei stato comunista
odiavi il privilegio e la menzogna
sapevi che la bellezza non offre
salvezza, se non si varca la porta
stretta della critica economica.
Sempre sei stato comunista
né pazzo né fanatico
volevi più verità
per essere agli altri più vero
estremo nel desiderio
di cibo buono per tutti.
Sempre sei stato comunista
la religione dell’estetico
ti pareva vino da servi,
rifiutavi il verso
come lusso vita arbitrio,
decadente culto padronale
sprezzante del comune.
Sempre sei stato comunista
la poesia non ti bastava
volevi realizzata
la promessa d’interezza,
tramortita la forma
attributo di dominio.
Sempre sei stato comunista
a volte speciale, repulsivo
tu pure comunista in un cuore solo,
i compagni non riconoscevano
l’intransigente disciplina
che di questo mondo voleva la fine.
Sempre sei stato comunista
non ti dicevi poeta,
la poesia per te non era
estasi dell’io, recita
di privata ossessione
ghetto di compiaciuta rovina
gratificazione della forma.
Sempre sei stato comunista
il tuo marxismo critico
amaro dono di Cassandra
coglieva in anticipo i nessi
passi di falsi progressi
gorghi e vicoli ciechi.
Sempre sei stato comunista
e ti chiedevi se la forma
letteraria allusiva di pienezza
fosse migrata altrove,
non cercavi rimedio né requie
sola testimonianza precisa
di una proposta umana.
Sempre sei stato comunista
ti accusavano di astratto
profetismo moralista,
ma la tua spada spezzava
l’aria ammorbata dal consenso
di abati vati ribelli cortigiani.
Sempre sei stato comunista
anche se non c’era da sperare
continuavi a educare.
Alla pigrizia della storia
non affidavi l’inversione,
credevi irresistibile
la tentazione del bene.
Sempre sei stato comunista,
quando la trave marcia crollerà
sotto il peso di una rondine,
colombi astuti e candide volpi
torneranno ai tuoi giardini.
Mareggia il capitale
getta reti, ingloba fondi,
frange Stati, gonfia bolle,
arbitro calcia la palla;
rotola stanca la terra,
indecisa se più globalizzarsi
scoppiare allocare in altre sfere
o deglobalizzarsi
sgonfiare farsi triangolare.
Critica estetica del borghese
e Critica sociale del capitalista
nel Novecento
si sono incontrate,
avanguardie artistiche e
avanguardie operaie
si sono innamorate.
Poi si sono separate,
Critica estetica del borghese
s’è sposata con manager rivoluzionari
e hanno avuto figli:
rete, design, hi-tech
pubblicità, comunicazione.
Critica sociale del capitalista
è tornata single.
Capitalismo estetizzante
rivoltoso rivoltante
ha confuso l’Occidente.
Ci vogliono capitale personale
da gestire far fruttare e noi
ci diamo da fare ci vogliamo bene
investiamo su noi stessi, ci valorizziamo
Più autostima per venderci o affittarci al meglio;
ottimizziamo pure l’infimo a garantirci prebende
meritevoli a caccia di rendite, benessere e plusvalenze,
reclamiamo diritti d’interessi, amministriamo talenti
riorganizziamo risorse, progettiamo pubblicità
pubblicazioni e ci quotiamo in borsa.
Occultiamo le perdite, gonfiamo i ricavi,
accaparriamo utili che distribuiamo solo ai soci,
stringiamo matrimoni, amicizie, alleanze provvisorie
puntando a benefici e monopoli, ingannevoli fusioni
aumentano valore ai nostri titoli. Scorporiamo,
evadiamo, scarichiamo, creativi inventiamo
paradisi derivati surrogati, al riparo da rischi
scommettiamo su catastrofi degli altri
ci impicchiamo a ricattare le canaglie.
Oggi non valgo niente
e meno male
almeno sono gratis.
Ciò che ci accomuna
molto più importante
di ciò che ci distingue,
non riconoscerlo
è il nostro male.
Perduta la passione
di ragioni dell’intero,
perseguiamo unicità
in stoltezza solitaria,
inutilmente diversi.
La dialettica non è
sfinite discussioni tra sordi
interpretazioni estenuate,
sfibranti giochi testuali
infinite citazioni e rimandi,
finte domande per mostrare
che sappiamo.
La dialettica è un’arte
di conflitti intellegibili
vita sociale al ritmo del concetto,
imparare a stringere l’ordinario
con l’economia che ci sovrasta,
dividere dove il capitale ci unisce
unire dove il capitale ci divide,
assumere posizioni coscienti
di nessi tra cose invisibili
apparentemente distanti,
educazione che allena
l’intera postura.
Poesia e critica sociale: l’esordio di Cristina Corradi – di Emanuele Macrì
L’esordio poetico di Cristina Corradi, Destini capitali (Ensemble, 2020, pp. 176), è costruito intorno ad un intento volutamente pedagogico. E al centro di questa pedagogia, protagonista-nemico, è il capitale: il termine e i suoi derivati (“capitalismo”, “capitalistico”) compaiono circa settanta volte nei centoquarantaquattro componimenti. Una presenza costante che suggerisce una duplice considerazione. La prima: l’occorrenza diffusa dei termini potrebbe essere letta come figura, dimostrazione di fatto dell’onnipervasività del capitalismo oggi; la seconda: la rappresentazione del capitale come organismo vitale «Al capitale sta anzitutto a cuore» (p. 75), e la sua personificazione, la sua concretizzazione, potrebbero essere risposte ad un capitalismo oggi più che mai astratto, cognitivo, ossia capace di plasmare coscienze su misura del consumo.
A tal proposito significativi sono i titoli che compongono le sei sezioni dell’opera. In Storia narrativa, centrale è l’introduzione-narrazione della contingenza storica: «Viviamo in tempi confusi non bui» (p. 9) in cui «Abbiamo creduto alla bugia / della fine dell’ideologia» (p. 12) e della storia, in cui abbiamo dimenticato che la dialettica «è un’arte / di conflitti intelligibili», una «educazione che allena / l’intera postura» (p. 14). Netta è la posizione politica di Corradi. Seguono poi Forza lavoro testuale e Destini capitali: qui le liriche mutano in autentiche critiche sul ruolo della cultura: «All’arte non chiediamo / facile consolazione […] Un po’ di comprensione /sintetica, utile per piacere» (p. 59), «Con la cultura non si mangia? / Editoria TV cinema […] fatturato annuo miliardario» (p. 48); dell’economia e della società: «Mareggia il capitale / getta reti, ingloba fondi, / frange Stati» (p.71), «Superbia nel ritenersi il migliore dei sistemi […] che non ha successori» (p. 67). In Miseria personale, invece, il tono più intimo delle liriche è scandito, oltre che dal titolo, dal ritorno delle forme verbali singolari, assenti nella prima parte della raccolta. Si badi, non «estasi dell’io», ma un’«autobiografia» sempre verificata alla luce dei destini generali: «Non posso raccontare / la mia storia / senza il quadro generale […] senza il donde collettivo» (p. 122). Nella penultima sezione, Astri e politica, la parte avveniristica dell’opera, dedicata all’elaborazione di ricette e proposte così si presenta: «Destra e sinistra / indicazioni spaziali/ arbitrarie e relative […] Se vogliamo resuscitare / differenza sostanziale / due stelle polari: / critica d’economia capitale / geopolitica dell’imperialismo» (p. 138); o ancora: «Prendiamo una lunga vacanza / dall’informazione quotidiana / politica minuscola, successi editoriali / lavoriamo come se l’eterno» (p. 158). Chiude la raccolta Canzone della pena capitale, con un componimento che sarebbe interessante musicare e che offre un riassunto ed insieme un ritratto della società odierna.
Dunque una poesia pedagogica, si diceva, che tenta il recupero e la trasmissione di diverse direttive: la complementarità di teoria e prassi – e da qui la proposta di una «poesia / armata di critica sociale» (p. 130); l’importanza della dialettica, non solo come metodo speculativo, ma come maniera di guardare alle cose in modo relazionale-conflittuale, di pensarsi in rapporto a ciò che è altro da noi; e da qui la costruzione di un’intera sezione, Miseria personale, avviluppata intorno ad una dialettica fra Io e mondo; e la centralità del valore-lavoro: da cui l’idea di una poesia e di un lavoro letterario impegnato, militante. Tre cardini della proposta di Corradi che sono anche tre dei grandi temi intorno ai quali si è consumato negli anni scorsi il divorzio fra la sinistra politica e la teoria marxista. Sul piano stilistico evidentissimo è il legame con Fortini, dal titolo (Destini capitali/Destini generali) alla dedica di Sempre sei stato comunista (pp. 135-137), fino all’uso di una punteggiatura ridotta al minimo, all’utilizzo specifico di pronomi, articoli e congiunzioni. Ma non solo: anche Montale, Brecht, Pasolini e Sanguineti: quest’ultimo, soprattutto in quella ironia amara che scorre in alcune liriche di Corradi – «Oggi non valgo niente / e meno male / almeno sono gratis» (p. 97) – che pare essere l’elaborazione poetica dell’idea di compresenza di tragico e comico cara a Sanguineti. Anche il linguaggio guarda alla critica, alla sociologia, all’economia: nessuna descrizione paesaggistica, nessun sprofondamento lirico o vezzeggiamento retorico. È dunque, la poesia di Cristina Corradi, una «terapia d’urto» collettiva che ha senza dubbio il merito di sollecitare l’impegno: dell’intellettuale a «scavare eredità, / selezionare ordini di priorità / serbare ragionamenti temporali […] stanare conflitti d’economia e valore / verificare autodenunciare vendicare» (pp. 123-124); e della letteratura a «preparare una contraddizione / se possibile migliore» (p. 13). Queste le forme di una poesia capace di farsi voce del senso comune e occasione di conoscenza critica della realtà.