Oltre la signoria e la servitù
[La redazione di “Altraparola” pubblica la recensione di Mario Pezzella uscita per l’edizione cartacea del Manifesto di ieri alla nuova edizione del libro “La rivolta” di Pierandrea Amato (Cronopio, Napoli, 2019)]
«La rivolta» di Pierandrea Amato, per Cronopio: una sospensione del tempo omogeneo del dominio
(il manifesto 12 settembre 2019)
di Mario Pezzella
Il tempo in cui Pierandrea Amato riflette sull’idea di rivolta è quello della «catastrofe continuata», l’ «epoca del disastro», in cui il capitale impone la sua astrazione a ogni vita e la riduce a desolazione. La divisione dello spazio tra centri-città gentrificati e periferie reclusorie sancisce la separazione tra chi ha diritto alla cittadinanza e gli «inesistenti», plebe senza parte e senza voce, come gli abitanti delle banlieues parigine.
IL DOMINIO del capitale appare come una legge naturale, che esclude ogni mutamento. La catastrofe che minaccia di distruggere l’elementarità della vita appare ineluttabile come destino: l’intollerabile è necessario, mentre i soggetti oscillano nel falso movimento da imprenditori di se stessi, a debitori, a falliti, a colpevoli. È la «logica della guerra infinita»: «Che cos’è la desolazione? L’attesa di una trasformazione legata alla sicurezza che il cambiamento non si realizzerà».
Nel suo mutare apparente, l’astrazione del capitale domina in modo tanto più inalterabile, oltre la chiacchiera, oltre la fantasmagoria delle merci. Titolo del volume di Pierandrea Amato, La rivolta (Cronopio, pp. 164, euro 12,50) è l’estremo resto di umanità intrattabile al suo tempo e alla sua continuità, si sporge nonostante tutto oltre la situazione dominata, esiste oltre: rivendicazione di esistenza da parte degli «inesistenti», «è l’urto nel tempo della massa di dolore accumulato…esprime una potenziale eccedenza della singolarità oltre se stessa». Come già per Furio Jesi, la rivolta è ekstasis, sospensione del tempo omogeneo del dominio, della sua catastrofe continua. È il freno d’emergenza, di cui parlava Benjamin nelle sue Tesi.
IL SUO POTERE destituente, anarchico – nel senso in cui Schürmann e Abensour intendono questo termine – si attiva come insorgenza singolare, come un fraterno disordine, come uno sciame. Si può obiettare che la rivolta è breve, puntuale e spesso destinata al fallimento, come la Comune di Parigi; oppure che essa è imprevedibile e può risolversi in un regime autoritario come la rivoluzione iraniana (al modo in cui Foucault ebbe a commentarla è dedicato un capitolo). E tuttavia il gesto trascendente della rivolta si iscrive nei corpi e nella memoria collettiva, non ha solo senso politico, ma anche ontologico; è la facoltà di trascendere l’immanenza della situazione: «La rivolta cattura la statura ineffabile dell’umano: una movenza trascendente nell’immanenza vivida che noi stessi siamo».
UN’OBIEZIONE ULTERIORE potrebbe essere: come distinguere la rivolta da un tumulto fascista che mira a presentarsi come tale, ma in realtà tende a una stabilità totalitaria? Amato risponde utilizzando le riflessioni di Levinas sul nazismo: la pseudorivolta nazista vuole sì ridestare l’immediatezza della vita, ma radicandola, inchiodandola a uno spazio geograficamente e razzialmente chiuso, e trasformando il dolore in odio per l’altro. Negazione totale dello spirito della rivolta, che è invece «innanzitutto un processo di deterritorializzazione».
LA RIVOLTA È LOCALE, avviene in un sito, ma per schiodare da esso e sporgere oltre la sua chiusa destinazione. Il fascismo, come gli attuali sovranismi, sono l’antitesi della rivolta, nonostante i loro vacui atteggiamenti tumultuosi. Il libro è arricchito da una lettera critica di Didi-Huberman e dalla risposta dell’autore. Didi-Huberman pone in questione la preminenza del potere destituente su quello costituente. In effetti è possibile ammettere – risponde Amato – istituzioni non partitiche e non statuali, che non negano la rivolta, ma possono anzi anticiparla (tesi sostenuta da Deleuze e Abensour, nella sua definizione della «democrazia insorgente»). Un’altra obiezione di Didi-Huberman riguarda Camus, non apprezzato da Amato, perché confinerebbe la rivolta in un ambito interiore e soggettivo. E tuttavia c’è un Camus che sembra non lontano dalle sue tesi: «Non è soltanto schiavo contro il signore, ma anche uomo contro il mondo del signore e dello schiavo. C’è dunque nella storia, grazie alla rivolta, qualche cosa di più del rapporto tra signoria e servitù» (Camus).
Se il tumulto regressivo si fonda sul risentimento e si limita a scambiare il ruolo tra servi e signori, la rivolta mira alla sospensione stessa di questo rapporto.