«M», uno script antifascista

«M», uno script antifascista

9 Luglio 2019 Off di Francesco Biagi

di Antonio Tricomi

 

[Pubblichiamo in anteprima la recensione di Antonio Tricomi al romanzo di Antonio Scurati “M. Il figlio del secolo” (Bompiani, 2018) che uscirà prossimamente nella rubrica di letteratura del n. 2 di “Altraparola”]

 

È una soluzione comoda, quella del «romanzo documentario» scelta da Antonio Scurati per M. Il figlio del secolo (p. 4), giacché sembra implicare repliche preventive alle principali obiezioni che le si potrebbero muovere. A chi dovesse imputargli errori, anche solo marginali, nella sua ricostruzione degli eventi storici trattati – Ernesto Galli della Loggia ne ha contati diversi in M –, l’autore di uno di simili congegni narrativi potrà cioè sempre ribattere scusandosi sì degli strafalcioni – è quel che ha diligentemente fatto Scurati – ma, ancor più, ribadendo di aver voluto comunque stendere un romanzo, nella certezza che «la storia» si riveli «un’invenzione», pur «non arbitraria», alla quale «la realtà arreca i propri materiali» (p. 4). Qualche altro recensore potrebbe invece osservare che, specie quando desideri offrire ai contemporanei chiavi di lettura ulteriori su una non misconosciuta epoca storica ancora in grado di proiettare la propria ombra sul presente, uno scrittore dovrebbe confermarsi anzitutto capace, a tal fine, di reinventare il passato, di affidarlo a una sua potente immaginazione romanzesca che, pur senza tradirlo, riesca però a farlo rivivere sotto una luce in parte nuova: con Le Benevole (2006), giusto per citare un esempio recente, Jonathan Littell ha dimostrato di saper ripensare l’orrore nazista producendosi, appunto, in un simile sforzo. Nondimeno, a valutazioni come queste, l’autore di un “romanzo documentario” risponderebbe, con ogni probabilità, di aver inteso tuttavia lavorare non a un tradizionale romanzo storico, ma alla riconversione in racconto delle numerose fonti storiche, dirette o indirette, scrupolosamente vagliate. In M, precisa infatti Scurati, «ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso» narrato «è storicamente documentato e/o autorevolmente testimoniato da più di una fonte» (p. 4). Di conseguenza, per capire a cosa più somigli il suo libro, conviene esplorarne in primo luogo la struttura.

Se non si tratta di una semplice biografia romanzata di Mussolini, è perché, sulla scena, troviamo l’Italia intera, vieppiù consegnatasi al despota nell’arco di tempo sondato dallo scrittore napoletano: dal 23 marzo 1919, data della fondazione dei Fasci di combattimento, al 3 gennaio 1925, giorno in cui il Duce, divenuto capo dell’esecutivo il 31 ottobre 1922, pronunciò il discorso parlamentare col quale, respingendo l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Giacomo Matteotti senza sentirsi muovere contestazione alcuna dai banchi delle opposizioni, aprì di fatto la strada alla propria dittatura sul Paese. E la ricostruzione di questi anni cruciali nella traiettoria recente della nazione è affidata da Scurati a una sequenza di blocchi di prosa, talora relativamente brevi, in genere preceduti, ciascuno, sia dal nome del personaggio del quale si narrano peculiari vicende, sia dalla data e dal luogo in cui tali fatti avvennero, e poi conclusi, sempre, con appendici costituite da stralci di documenti dell’epoca (articoli giornalistici, lettere private, telegrammi, e via dicendo) chiamati a certificare la verisimiglianza degli episodi raccontati nei diversi capitoli del libro. Solo nel primo e nell’ultimo di tali segmenti narrativi a parlarci è direttamente quel Mussolini che comunque si conferma il personaggio al cui scandaglio la gran parte delle singole porzioni di testo è dedicata. In tutti gli altri casi, il racconto è affidato a un narratore esterno la cui voce ricorda quella di un cronista solo apparentemente incline alla neutralità: egli non manca infatti di lasciar trapelare il suo sdegno, la sua ammirazione o, a ogni modo, il suo giudizio etico-politico nei confronti degli individui (picchiatori fascisti, esponenti dell’alta o piccola borghesia e del mondo liberale o cattolico, intellettuali e scrittori, dirigenti socialisti o comunisti) dei quali aspira a restituirci il pensiero, le azioni.

È proprio il timbro sempre nitido di siffatta voce narrante a fornirci più di un’indicazione sullo statuto formale di M, se esso implica, sul piano della scrittura, uno stile invariabilmente scorrevole che sancisce, a propria volta, l’assoluta fruibilità del testo. Il libro di Scurati si lascia insomma sorbire tutto d’un fiato e quasi procedendo in surplace tra le sue pagine: ci vuole tempo, a leggerlo per intero, solo perché smisurato. In ciò, esso ha più di qualcosa, magari, del feuilleton. Eppure, la sua parentela più stretta appare quella coi documentari di argomento storico prodotti per la televisione: il che ne fa un lavoro di cui urge apprezzare, fondamentalmente, l’esclusivo, e comunque meritorio, valore divulgativo. Come pure ricorda, l’ordito sia espositivo sia stilistico di M, l’impianto di una serie tv non tra le più sperimentali dal punto di vista formale (per esempio quelle statunitensi) poiché ligia ai codici espressivi e ai ritmi narrativi di un più convenzionale (e italiano) sceneggiato televisivo. Non a caso, sembra appunto che il romanzo di Scurati diverrà una serie tv. Né, a tal fine, servirà forse chissà quale lavoro in sede di sceneggiatura: proprio la sua interna partizione in singole scene narrative, montate in ordine cronologico e offerteci da una limpida voce off sempre disposta a cedere la parola ai personaggi, rende già M una sorta di script che, magari, occorrerà solamente snellire, tagliando questo o quel lacerto testuale. In più, a conferma del fatto che il romanzo tende a modulare la propria logica enunciativa su quelle dei mezzi audiovisivi, non si può non rimarcare che le pagine in cui si narrano le eclatanti proteste pubbliche di Ida Dalser contro Mussolini – reo di aver ripudiato il vincolo matrimoniale contratto con lei e di aver altresì abbandonato Benito Albino, il figlio avuto con la donna – appaiono un regesto quasi puntuale di talune sequenze di Vincere (2009), il film nel quale Marco Bellocchio ha tentato una lucida genealogia – essa sì imperdibile – del fascismo.

Ne deriva che nulla dunque ha, il libro di Scurati, di un autentico romanzo-saggio. È semmai vero che esso ci propone, sia della genesi sia del sostrato socioculturale dell’imperio mussoliniano, una complessiva interpretazione tacitamente ricavata – quasi a volerci regalare un implicito centone critico – dalla pur non dichiarata intersecazione delle più illuminanti diagnosi sul fascismo largiteci dai nostri migliori intellettuali e studiosi (e, in primis, da Antonio Gramsci, Giulio Bollati, Piero Gobetti). Laddove scoperto, e del tutto condivisibile, è invece il precipuo obiettivo civile che guida la stesura stessa di M.

Il regime vi è infatti ritratto, in maniera giustappunto canonica, come l’esito di un risentito, sovversivo, ideologicamente camaleontico movimentismo anti-sistema e anti-borghese convertitosi, dapprima, in un liberticida, squadristico, vandeano populismo autoritario e, poi, in una nichilistica, feroce, autodistruttiva dittatura. All’instaurazione della quale contribuirono l’appoggio dell’anticomunista borghesia padronale e del Vaticano, il sostegno del mondo cattolico più retrivo, le divisioni interne a una sinistra preda di sterili tatticismi e del progressivo affiorare di un’intellettualistica vocazione minoritaria. E allora, sembra volerci suggerire Scurati, si tratta di notare più di un’analogia tra l’Italia degli anni Venti del Novecento e la nostra. Il qualunquismo antipolitico del Movimento 5 Stelle ha condotto al potere, rendendosene poi subalterno, quel neo-tribale, sanfedista, xenofobo sovranismo leghista la cui egemonia culturale pare vieppiù destinata a rafforzarsi nel Paese e che minaccia perciò di tradursi in aperte forme di autoritarismo. Specie se, dopo il consenso del ceto medio impoverito e dei tanti cattolici rimasti fedeli al conservatorismo ratzingeriano, esso otterrà anche quello della grande borghesia nazionale, storicamente incline ad appoggiare chicchessia pur di non perdere i propri privilegi. E se, in una sinistra da tempo incapace di parlare ai ceti subalterni e propensa, addirittura, a scimmiottarne populisticamente le retoriche securitarie, continuerà a non trovare un’autentica opposizione politica, il suo unico avversario magari confermandosi quello attuale: ciò che in Italia sussiste – sempre meno, si direbbe – di una effettiva società civile. Che oggi include – va per onestà precisato – encomiabili schiere di fedeli e ministri cristiani né islamofobici né dimentichi della virtù, anche evangelica, della solidarietà.

M ha ottenuto un significativo consenso critico, culminato con la vittoria del Premio Strega 2019. Visti i tempi, non stupisce più di tanto. Ha però anche riscosso un ampio successo di pubblico. Come mai? Di recente, Mario Pezzella ha riproposto un concetto, quello di «stato d’animo» fascista, elaborato da Emilio Gentile per alludere a un venefico umore, vieppiù socialmente diffuso, che, pur restando in parte distinto dall’una e dall’altro, accompagnò sia la genesi della dittatura mussoliniana, sia l’immaginifico divenire della manifesta ideologia del regime. E, ha chiarito Pezzella, se oggi non sembra si possa ancora parlare di una reviviscenza del «fascismo-ideologia» o del «fascismo-regime», arduo è però non riscontrare l’impetuosa riemersione «di uno “stato d’animo”, di “temi”, che predispongono al fascismo», benché non urga magari già credere che necessariamente essi «debbano tradursi in organizzazione e pensiero» neofascisti. Eccolo, allora, il sospetto: che, in un tale clima di recrudescenza della barbarie, non pochi prodotti dell’industria culturale che abbiano per tema il fascismo attirino, anche quando provvedano a ricordarcene lo scempio, folti sciami di fruitori inclini ad accostarsi a siffatte opere non per condividerne gli intenti critici, ma per ricavarne arbitrariamente un proprio culto dell’abominio.

 

 

Ernesto Galli della Loggia, «M» di Antonio Scurati, il romanzo che ritocca la storia, in «Il Corriere della Sera», 13 ottobre 2018

Emilio Gentile, Il mito dello Stato nuovo. Dal radicalismo nazionale al fascismo, Laterza, Roma-Bari, 1999

Jonathan Littell, Le Benevole, Einaudi, Torino, 2007

Mario Pezzella, Il fascismo come «stato d’animo»: «Mario e il mago» di Thomas Mann, in «www.altraparolarivista.it», 29 giugno 2019

Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Bompiani, Milano, 2018

Antonio Scurati, Scurati replica a Galli della Loggia: raccontare è arte, non scienza esatta, in «Il Corriere della Sera», 17 ottobre 2018