L’ecologia sociale di Bookchin

L’ecologia sociale di Bookchin

23 Maggio 2019 Off di Francesco Biagi

di KARL LUDWIG SCHIBEL

Pubblichiamo una anticipazione dal terzo volume di “Altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico”, Vol. III, “Il capitalismo americano e i suoi critici” (di prossima uscita presso Jaca Book): un articolo di Karl Ludwig Schiebel, “L’ecologia sociale di Murray Bookchin”.

(10 giugno 2013, www.democraziakmzero.org)

Il testo che nel 1969 catapultò Murray Bookchin nel centro della New Left americana esorta i compagni: Listen, Marxist!, Ascolta, marxista! Un libello di poche pagine che parte con l’affermazione «Il vecchio ciarpame degli anni ‘30 sta tornando in auge – le stronzate sulla ‘linea di classe’, sul ‘ruolo della classe operaia’, sulla ‘formazione dei quadri’, sul ‘partito d’avanguardia’ e sulla ‘dittatura del proletariato’» – un attacco frontale, una polemica spinta contro il Partito progressista operaio (Progressive Labor Party) e tanti altri gruppi e gruppetti nati dalla rapida disintegrazione del Movimento degli anni Sessanta. Quale alternativa propone Bookchin all’ortodossia marxista sterile volta a far rinascere il «Partito della classe operaia»? L’anarchismo nell’era dell’abbondanza basato sull’ecologia sociale.

Ma chi era questo combattivo intellettuale che da un giorno all’altro acquisiva una risonanza a livello nazionale ed internazionale dopo una carriera di ormai già un quarto di secolo da attivista e teorico, comunista ortodosso prima, trockijsta poi, per arrivare alla costruzione, dalla fine degli anni Cinquanta, di una teoria di ecologia sociale, come proposta rivoluzionaria di una nuova società?

Il Bookchin della Old Left

Con l’autodidatta Bookchin, che entra negli istituti di educazione superiore solo a un età avanzata come docente, i tratti personali e biografici forse incidono ancora di più che non con altri grandi teorici che sviluppano il proprio pensiero lungo un processo di educazione formale spesso seguendo per molti anni un maestro prima di trovare la propria strada. L’evoluzione del pensiero di Murray Bookchin per lunghi periodi della sua vita viene sollecitata dalla sua prassi politica che parte negli anni Trenta con il movimento giovanile del Partito comunista americano. Lì le cose erano chiare: l’obiettivo era la rivoluzione della società americana, il pensiero di Marx forniva la base teorica e la classe operaia era il soggetto esecutore di questo progetto storico. La classe doveva essere resa consapevole del proprio ruolo attraverso un processo intenso di agitazione ed educazione e per Bookchin era chiaro fin dai primi passi nei Giovani pionieri che il suo sarebbe stato un ruolo chiave nel processo per portare le masse sulla strada rivoluzionaria giusta, un ruolo di agitatore illuminato e illuminista, una percezione di se stesso che mantiene per tutta la sua vita e che permane in tutte le sue opere. I processi stalinisti a Mosca e la guerra civile in Spagna discreditano per lui e molti altri il «socialismo reale» della Russia e Bookchin, che dopo il servizio militare lavora come operaio nell’industria automobilista ed è attivo nel sindacato dei metalmeccanici UAW, si avvicina al trockijsmo del Socialist Workers Party. Il suo impegno rivoluzionario all’interno del movimento operaio e del partito soffre una drammatica sconfitta negli scioperi di fine anni Quaranta quando i sindacati americani compiono gli ultimi passi da organizzazioni di lotta contro il capitalismo a organizzazioni che rivendicano con grandi capacità organizzative e a volte con grande violenza, ma rigorosamente all’interno del sistema capitalista, gli interessi degli operai. Bread and butter e non la trasformazione rivoluzionaria della società sono all’ordine del giorno di queste business unions.

Facilmente la carriera da rivoluzionario di Murray Bookchin avrebbe potuto finire in questo periodo di fine anni Quaranta. La delusione per un movimento operaio assorbito dal capitalismo americano post-bellico in forte espansione, una sinistra frantumata e debole con in parte ancora forti legami con lo stalinismo e di conseguenza la mancanza di una prospettiva rivoluzionaria soffocavano le speranze in una nuova società. Molti intellettuali, attivi nella sinistra durante il New Deal e la Seconda guerra mondiale, si ritiravano dalla politica in questo periodo di profonda trasformazione del paesaggio politico americano mentre un’altra parte di loro diventava protagonista dell’emergente movimento di destra anti-New Deal mettendo le basi per il «liberalismo» della Guerra fredda.

Per Bookchin l’incontro con Josef Weber, figura carismatica di un circolo di radicali di sinistra, nel dicembre 1944 apre un’altra strada. Questo pensatore vent’anni più grande di lui diventa la figura guida per il giovane intellettuale che aderisce nel 1948, dopo il ritorno dal servizio militare, al suo «Movimento per una democrazia di contenuto» in cerca di una nuova patria. Unisce i due un crescente distacco dal trockijsmo e più in generale da ogni politica partitistica e la profonda delusione per la classe operaia in quanto forza rivoluzionaria . Entrambi sono autodidatti, figure carismatiche e profondamente dedite ai loro ideali. Con una sana porzione di autostima sono convinti di essere al centro di un progetto epocale di trasformazione verso una «società razionale». Le idee e i temi che accomunano i due sono molti e la teoria politica di Weber costituisce per molti elementi la base dell’opera di Bookchin. Fino al 1962, Weber è già morto tre anni prima, tutti i testi di Bookchin appaiano su due riviste del gruppo, «Contemporary Issues» e, rispettivamente, la sua controparte tedesca, «Dinge der Zeit» .

Il gruppo di «Contemporary Issues»

Il Movimento per una democrazia di contenuto è attivo con gruppi di intellettuali a New York, Londra, Johannesburg e Gelsenkirchen in Germania. A New York il gruppo, con al centro la pubblicazione di «Contemporary Issues» edita dal 1948, si incontra due volte la settimana per discutere, appunto, i problemi contemporanei. La delusione nei confronti del movimento operaio apre lo spazio per rivolgere l’attenzione ad altre dinamiche socio-politiche e il loro possibile contributo alla trasformazione verso una società razionale. Il capitalismo viene considerato preda di un declino inarrestabile di cui il fascismo è l’espressione conseguente, un’idea piuttosto diffusa in questi anni. Però il gruppo discute anche dell’autodistruzione ecologica delle società industriali intesa come cruciale manifestazione dell’ultimo capitalismo, un’idea insolita a quel tempo. I pericoli principali, scrive Weber in «Contemporary Issues» nel 1950 , sono la guerra nucleare e batteriologica, l’inquinamento e il consumo del suolo, la distruzione delle foreste, lo sterminio della fauna, la contaminazione dei fiumi e delle coste e le malattie causate dai materiali e processi velenosi e cancerogeni nel settore industriale.

Il soggetto storico per uscire dal declino inarrestabile del capitalismo è costituito dal 99% che ne soffre le conseguenze, cioè la stragrande maggioranza della popolazione. Quello che distingue però la situazione materiale delle masse del dopoguerra nei paesi sviluppati da tutto il corso storico precedente è dato dalla possibilità di uscire dal regno della necessità e, contemporaneamente, costruire sulla base del progresso tecnologico e della crescita della produttività del lavoro una società libera. Per i movimenti sociali del passato anche se riuscivano ad affermarsi, rimaneva il problema della scarsità, l’impossibilità di produrre beni di prima necessità a sufficienza per tutti. La prospettiva di un’era di abbondanza apre per la prima volta nella storia della specie la prospettiva di far coincidere la caduta del vecchio potere con la libertà di tutti in una società senza scarsità.

Sarebbe vano voler discutere il rapporto Josef Weber-Murray Bookchin nei termini di chi è l’autore di quale idea e di come si distribuiscono i meriti. È fuori dubbio, come afferma lo stesso Bookchin, che lui deve molto a Weber e alla cultura intellettuale e Weltanschauung di tutto il gruppo di «Contemporary Issues», come anche alla loro percezione di se stessi come piccolo nucleo e punto di partenza al centro di una trasformazione globale. L’attenzione di Bookchin alla questione ecologica, alle dinamiche dell’urbanizzazione, alla sfera della riproduzione, alle life politics e la sessualità trova le sue radici nei dibattiti con il gruppo e il suo leader. Quando Weber muore nel 1959 non solo esiste la struttura di base sulla quale Bookchin negli anni successivi costruisce la sua teoria dell’ecologia sociale, ma il giovane rivoluzionario di quindici anni prima è maturato all’inizio sotto la guida e poi come delfino di Weber sino a diventare un intellettuale militante con una grande familiarità con il pensiero di Hegel e Marx, della Scuola di Francoforte, ma anche di una vasta letteratura scientifica sulle questioni politiche, sociali ed ecologiche della società americana contemporanea. Dopo la morte di Weber però non prende il suo posto come figura leader del gruppo ma imbocca la propria strada come fondatore dell’ecologia sociale.

L’ecologia è pensiero rivoluzionario

Il primo libro di Murray Bookchin, Our Synthetic Environment, esce sotto lo pseudonimo di Lewis Herber nel 1962, elaborando alcuni testi pubblicati in precedenza in «Contemporary Issues» . Il libro contiene già molti elementi del suo pensiero degli anni successivi nel modo di affrontare il tema dell’ambiente nella prospettiva teorica dell’«ecologia sociale». La distruzione della base naturale della vita umana nella società contemporanea non è questione di comportamenti deplorevoli di pochi e della disattenzione di molti ma il risultato conseguente di una società che inghiotte sempre più grandi quantità di energia e materie prime, per sputare fuori beni e servizi che inquinano l’acqua, la terra, l’aria nella produzione, nella distribuzione, nel consumo e nello smaltimento. Anche le soluzioni sono quelle che Bookchin continuerà a elaborare nei successivi decenni: il decentramento urbano e la nascita di comunità autodeterminate che permetteranno un nuovo equilibrio tra natura e società, ben integrato con le risorse del territorio circostante, utilizzando il vento, l’energia solare e l’idroelettrico come fonti di energia.

Bookchin non è l’unico che disturba la fede dominante dell’epoca in un progresso glorioso e inarrestabile del dominio dell’uomo sulla natura. Nello stesso anno, il 1962, esce Primavera silenziosa di Rachel Carson, un atto d’accusa di profonda anche se contenuta rabbia contro l’uso del DDT. Nel decennio successivo si moltiplicheranno le voci che mettono in guardia il pubblico americano ed europeo dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche del rapporto distruttivo delle società industriali avanzate con la natura. Nei primi anni Settanta Stuart Udall parlerà della Quiet Crisis, Paul Ehrlich porrà l’accento su «La bomba demografica», Barry Commoner in The Closing Circle: Nature, Man, and Technology metterà a confronto le risorse finite con lo sviluppo tecnologico e demografico, mentre Donatella e Dennis Meadows con il rapporto sui Limiti dello sviluppo, forniranno le prime proiezioni sull’esaurimento delle risorse. Sono voci di studiosi coscienziosi e preoccupati che chiedono ai decisori politici e al pubblico in generale di dedicare più attenzione agli effetti distruttivi del modo industriale di produrre sull’ambiente naturale.

Il punto di partenza del pensiero di Murray Bookchin fin dall’inizio è completamente diverso. La questione ambientale non nasce dallo sviluppo demografico o dall’esaurimento delle risorse ma dalle contraddizioni essenziali tra l’imperativo del «crescere o morire» di un capitalismo che considera la sua base naturale una pura risorsa e la logica dell’evoluzione della vita sul nostro pianeta. Nel 1964 Bookchin introduce nel dibattito politico della New Left un nuovo concetto secondo lui fondamentale per il pensiero rivoluzionario: l’Ecologia . Fino a questo punto l’ecologia era una sub-disciplina relativamente giovane, fondata nel 1866 dallo studioso tedesco Ernst Haeckel, secondo il quale doveva occuparsi delle interrelazioni tra gli animali, i vegetali e il loro ambiente inorganico, delle comunità di vita in un approccio olistico. Questo nuovo ramo della biologia ebbe per quasi un secolo un’esistenza piuttosto stentata. In molti libri di storia della biologia l’ecologia di fatto non appariva. Per Bookchin, invece, è arrivato nella storia dell’uomo il momento in cui l’ecologia sta per assumere delle implicazioni rivoluzionarie.

Poiché la natura comprende anche l’uomo, possiamo concludere che questa scienza si occupa, fondamentalmente, di salvaguardare l’armonia tra l’uomo e la natura. Le implicazioni clamorose che un approccio di tipo ecologico potrebbe comportare non derivano solo dal fatto che l’ecologia è, per suo carattere intrinseco, una scienza critica, […] ma anche dal fatto […] che si propone di integrare e di ricostruire. Questo carattere integrativo e ricostruttivo dell’ecologia, portata alle sue estreme conseguenze, confluisce direttamente nel pensiero sociale anarchico. Infatti, in ultima analisi, è impossibile tutelare l’armonia tra l’uomo e la natura senza creare una comunità umana capace di vivere in perpetuo equilibrio con l’ambiente naturale .

Due anni dopo il suo Synthetic Environment e la Primavera silenziosa della Carson Bookchin promuove l’ecologia al rango di fulcro del pensiero rivoluzionario. Alla base dei profondi e sempre più minacciosi squilibri nel mondo naturale ci sono quelli dell’uomo «con i suoi simili e nelle strutture della società. Gli squilibri del mondo naturale sono la conseguenza degli squilibri del mondo sociale» , che sono più che altro risultato del dominio e delle gerarchie. «L’idea che l’uomo debba dominare la natura è evidentemente una conseguenza del dominio dell’uomo da parte dell’uomo» , e l’unica via di salvezza per non distruggere la base naturale della vita umana sul pianeta causa di cambiamenti climatici e altri interventi disastrosi nei cicli naturali è la rivoluzione anarchica per una società ecologica.

Gli ideali anarchici di una comunità equilibrata, di una democrazia diretta, di una tecnologia umanistica e di una società decentralizzata – questi fertili concetti libertari – non solo sono desiderabili, ma sono anche necessari. Essi non appartengono solo a una grande concezione del futuro dell’uomo, ma costituiscono le condizioni essenziali alla sopravvivenza dell’uomo .

Con toni forti Bookchin mette nel 1964 l’ecologia al centro della teoria e della prassi di una nuova società, una società ecologica, appunto. Solo all’inizio del decennio successivo si alzano le voci di Commoner, Ehrlich e altri come abbiamo visto con un approccio ambientalista riformista volto a mitigare gli effetti peggiori dell’industrialismo e della crescita demografica senza però arrivare, come sottolinea Bookchin, alle radici della crisi ecologica: la società capitalista e più in generale il dominio dell’uomo sull’uomo.

L’ascesa del Movimento degli anni Sessanta può essere letta come conferma di molti elementi dell’analisi di Murray Bookchin degli anni precedenti. Non si tratta di un movimento di classe ma di giovani provenienti per lo più da famiglie privilegiate ribellatisi contro una società consumistica, razzista, guerrafondaia, nella convinzione che la nuova società si trova in modo latente appena sotto la superficie di quella falsa che appare alla vista.

Ecologia Sociale e Post-scarcity Anarchism

Nel movimento degli anni Sessanta Murray Bookchin trova se stesso; per quasi un decennio esso diventa il punto di riferimento per il suo pensiero rivoluzionario e le sue azioni politiche. A volte in modo più analitico, spesso in modo polemico, Bookchin cerca di individuare il potenziale che ha questo movimento prima e quello ecologico alternativo poi di rivoluzionare il capitalismo avanzato e creare una società razionale ecologica. Mentre sono gli attivisti della New Left che in questi anni «adottano» alcuni intellettuali e le loro opere: la teoria critica di Adorno , Horkheimer, e Habermas, Ragione e rivoluzione e L’uomo a una dimensione di Marcuse, La fuga dalla libertà di Fromm, Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy, gli scritti di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Frantz Fanon e molti altri, è invece Bookchin che adotta il movimento come sua casa intellettuale ed esistenziale. L’ecologia sociale evolve in un’interazione diretta e con la partecipazione attiva di questo «pugnacious working class intellectual» nei dibatti e nelle azioni del movimento di questi anni. Bookchin vive dai primi anni Sessanta nell’East Village di Manhattan, al tempo e prima ancora di San Francisco centro della controcultura, lavorando con il CORE (Congress of Racial Equality) e formando con altri nel 1965 gli East Side Anarchists. Due anni dopo è tra i fondatori di Anarchos, organo del pensiero anarchico dove appaiono molti dei suoi articoli. Rievoca con Allen Ginsberg la Beat Generation e discute in un gruppo che si chiama Up Against the Wall Motherfuckers dell’anarchismo nella società dell’abbondanza, delle potenzialità liberatorie della tecnologia e della crisi ecologica che rendono possibile e necessaria una nuova società NOW, adesso.

Sono anni piuttosto movimentati che Bookchin ricorda nel 1985 con affetto quando scrive l’introduzione alla seconda edizione di Post-scarcity Anarchism.

Gli anni Sessanta hanno fatto delle cose meravigliose e molti cambiamenti sono sedimentati nella vita americana. Il nesso tra il personale e il politico, tra la fantasia estetica e la realtà sociale, tra la società senza gerarchie e quella senza classi, tra il processo libertario e gli obiettivi rivoluzionari – tutto questo, per non parlare del famoso diluvio di sperimentazioni di vita comunitaria, libertà sessuale, cambiamenti radicali di vestiti e diete, di tecniche educative e della cultura nel suo insieme, era sotterraneamente rivoluzionario ed espressamente utopistico .

La serie di articoli che Bookchin scrive in questo decennio, prima su Comment e dal 1968 su Anarchos elaborano le grandi linee della sua ecologica sociale come teoria della profonda trasformazione della società capitalista. Dopo Ecologia e Pensiero Rivoluzionario, pubblica l’anno dopo, 1965, Verso una Tecnologia Liberatoria, nel 1968 L’Anarchismo nell’Età dell’Abbondanza e Le Forme della Libertà e nel 1969 Ascolta, marxista!. Il suo pensiero in questo periodo occupa una posizione unica nel discorso nascente della New Left. Nella generale debolezza teorica del movimento americano cerca di riprendere gli impulsi di rivolta allo stato nascente e di dar loro una coerenza teorica, in un processo di autoriflessione che ha al centro la questione ecologica.

Si ricollega per il suo pensiero rivoluzionario alla tradizione anarchica. L’anarchismo risponde alla convinzione di Bookchin – in piena sintonia con il nascente movimento – che la lotta per una società libera deve trovare forme di organizzazione e stili di vita che anticipino quello che cercano di creare. «Mentre cerca di cambiare la società, il rivoluzionario non può fare a meno di cambiare se stesso, in modo tale che gli è necessario riprendere possesso della propria natura. Come il movimento del quale fa parte, il rivoluzionario deve cercare di riflettere le condizioni della società che aspira a creare – almeno nella misura in cui ciò è oggi possibile» . La negazione delle forme gerarchiche di organizzazione e l’enfasi sulle comunità decentrate e sulla spontaneità fanno dell’anarchismo l’unica teoria politica che permette di pensare ecologicamente. Murray Bookchin non è un anarchico che scopre l’ecologia o un ecologista che scopre l’anarchismo, per lui «la società anarchica, lungi dall’essere un ideale remoto, si configura ormai come l’unica condizione nella quale sia possibile porre in pratica i principi ecologici» . L’abolizione del dominio dell’uomo sull’uomo come ideale anarchico permetterà ed è condizione per un rapporto co-produttivo uomo-natura , la spontaneità come principio dell’azione politica e sociale trova la sua corrispondenza nella spontaneità dell’evoluzione naturale e la crescita di complessità e varietà della vita. Una società ecologica deve necessariamente essere una società decentrata, egualitaria, spontanea, che vive e produce vicino ai cicli naturali. È questo il cuore dell’ecologia sociale di Murray Bookchin e nel movimento degli anni Sessanta scopre molti elementi che nutrono la fondata speranza che la rivolta dei giovani in Giappone, in Francia, Italia e Germania come negli Stati Uniti stia proprio andando in questa direzione.

La disintegrazione di questo movimento convince Bookchin come molti altri che il futuro dell’azione rivoluzionaria non sta nelle grandi città ma nella sperimentazione anticipatoria di nuove forme di comunità lì dove sono ancora vive le tradizioni di democrazia diretta. Bookchin e il suo gruppo si trasferiscono nel 1971 in Vermont dove la democrazia faccia a faccia ancora dà segni di vitalità nei town meetings, l’assemblea dei cittadini (e più recentemente anche delle cittadine) che discute e decide in modo diretto sugli affari della comunità secondo il principio «one man, one vote». Nel 1972 comincia con Daniel Chodorkoff a mettere le basi per l’Institute for Social Ecology che vede la luce nel 1974 nel nord del Vermont e a tutt’oggi offre un ricco programma di studi sul tema. È attivo in vari movimenti sociali ed ecologici. Partecipa al movimento antinucleare Clamshell Alliance, è attivo con i Verdi in Vermont, gira negli Stati Uniti e in Europa per presentare la sua ecologia sociale in conferenze e riunioni, discute con attivisti e politici verdi – ma il suo ruolo è cambiato. Già nel movimento degli anni Sessanta con i suoi quaranta e più anni era più anziano degli altri attivisti, ma non era l’unico. Il pacifista Dave Dellinger era di sei anni più anziano di lui, Howard Zinn che proveniva dal Movimento per i diritti civili (SNCC – Students Nonviolent Coordination Committee) aveva la sua età, e comunque il suo ruolo portante in Anarchos e la sua affiliazione con i Motherfuckers non lasciava nessun dubbio sul fatto che Bookchin fosse un attivista tra altri attivisti nel centro del movimento. Quando si sposta in Vermont, pur avendo solo cinquant’anni, diventa un «grande vecchio», l’intellettuale radicale con le radici nel movimento operario degli anni Trenta, che analizza la situazione politica del momento per dare un orientamento e una guida ai movimenti sociali ed ecologici.

Cambia la prospettiva di Bookchin; le sue riflessioni non sono più inserite in uno scambio diretto con un movimento in atto che promette di rivoluzionare la società americana in un prossimo futuro, elaborano invece secondo un approccio molto più ampio i fondamenti di una società ecologica che verrà in un futuro non prossimo. Il risultato forse più importante, il suo magnum opus, Ecologia della libertà, esce nel 1982.

L’ecologia della libertà

L’Ecologia della libertà è l’opera di un grande pensatore all’apice del suo pensiero, che sviluppa il suo progetto presentando il vasto disegno di una società ecologica. Bookchin parte dalla nascita della vita, dal transito dall’anorganico all’organico per arrivare alle grandi linee di una società ecologica. La vita sul nostro pianeta, argomenta, ha una storia che segue una logica. Dalle sue primissime manifestazioni si sviluppa verso forme sempre più differenziate e complesse che trovano la loro espressione più evoluta nella specie umana. Le caratteristiche che siamo portati a considerare il privilegio della specie umana si verificano in forme primordiali già nelle prime manifestazioni della vita. Bookchin riprende qui il pensiero di Hans Jonas secondo cui l’organico già nelle sue forme più elementari prefigura lo spirito, il sentire e il percepire, il desiderio e l’immaginazione mentre lo spirito anche nelle sue forme più alte rimane parte dell’organico . L’uomo è l’unico essere vivente che in modo sempre più incisivo è in grado di adattare l’ambiente ai suoi bisogni, però rimane profondamente legato a tutta la vita su questa terra ed inserito nei suoi cicli.

L’evoluzione naturale nel suo percorso verso una crescente spontaneità, diversità e complessità crea un grande regno della vita complesso, interdipendente, in parte simbiotico e non gerarchico. «Un’ape ‘regina’ non sa di essere una regina» , il leone non è il «re degli animali», i ranghi nelle orde degli ominidi sono più che altro proiezioni dei ricercatori, la natura non è né benevole né crudele o vendicativa. Queste sono visioni antropomorfiche che troppo spesso sottolineano gli aspetti competitivi nel regno naturale dove, come insiste Bookchin, troviamo molto spesso, e cita a tale proposito le ricerche di Lynn Margulis, in momenti cruciali dello sviluppo della vita forme simbiotiche.

Il dominio dell’uomo sull’uomo non trova nessun fondamento nel mondo naturale ma è il risultato dell’evoluzione sociale che a sua volta definisce il rapporto dell’uomo con il suo ambiente naturale. Il rapporto uomo-natura, ragiona Bookchin, è riconducibile al rapporto tra uomo e uomo. La falsa idea di poter dominare la natura nasce dal dominio molto reale dell’uomo sull’uomo. «L’ecologia sociale […] non fornisce alcun supporto alla struttura gerarchica né in natura né nella società; al contrario essa mette in discussione la funzione stessa della gerarchia come principio di stabilità o d’ordine in entrambi i regni» . La natura non conosce il dominio, e ogni tentativo di dare al retaggio del dominio sociale una base naturale è scientificamente non difendibile e ha come obiettivo di sostenere e perpetuare lo stesso regno del dominio. Bookchin dedica due capitoli di Ecologia della libertà all’emergere della gerarchia e all’epistemologia del dominio. Partendo da una sostanziale uguaglianza nelle società organiche sono l’età e il genere le prime caratteristiche costitutive per le gerarchie: il dominio dei vecchi sui giovani e degli uomini sulle donne. È questa la prima grande svolta nella storia della specie dalle società organiche a quelle gerarchiche, mentre la seconda svolta è quella dalle società agrarie, basate sulla comunità e un’economia largamente non-monetaria, alla società capitalista di mercato, animata dalla necessità di accumulo del capitale e del «crescere o morire». Una storia ambigua di forme sempre più comprensive di dominio e al contempo di forme sempre più ricche ed evolute di libertà e di capacità di creare il proprio futuro.

L’età moderna con il suo sistema di Stati-nazione competitivi e società ed economie capitaliste si distingue da tutta la storia precedente della specie sia nelle sue capacità distruttive che creative. Distruttive perché tutta l’eredità delle società organiche e agrarie di mutualismo, reciprocità, comunalismo che trovava anche qualche continuità nelle società capitaliste fino alla metà dell’ultimo secolo, è stata obliterata e ha dovuto cedere a una frammentazione dei rapporti sociali nelle agglomerazioni metropolitane, a un consumismo sfrenato e una mercificazione che pervade in modo capillare tutte le sfere di vita. In questo ragionamento Bookchin si trova in sintonia con la Scuola di Francoforte , mentre non condivide il pessimismo storico della «Dialettica dell’Illuminismo» di Adorno e Horkheimer . La natura, con una storia della vita fatta di spontaneità, varietà e diversità, offre all’uomo la possibilità di estendere lentamente il regno della libertà, quella personale e quella sociale fino al punto in cui assorbe il regno del dominio. E, infatti, dai primi miti in poi esiste un ricco corpo di pensiero sulla libertà e una lunga storia di movimenti sociali che si sono battuti per essere liberi, un «retaggio della libertà» che percorre, spesso come corrente sotterranea, tutta la storia dell’umanità, dai rapporti sociali relativamente ugualitari delle società organiche attraverso i villaggi europei medievali ai «town meetings» del New England fino ai moderni movimenti libertari per una nuova società. Il retaggio del dominio e il retaggio della libertà hanno costituito per Bookchin la doppia elica della sua vita.

Il potenziale oggettivo per una nuova società libera ed ecologica proviene dallo sviluppo delle forze produttive stesse. La scarsità, l’insufficienza di beni e servizi, sono state per tutta la storia dell’umanità la legittimazione per l’affermazione del dominio e della gerarchia. Il rapido progresso scientifico-tecnologico dopo la Seconda guerra mondiale, con un’ulteriore accelerazione dagli anni Sessanta, ha portato nella sfera del possibile il sogno utopico di una generale abolizione della scarsità e del lavoro faticoso per produrre le necessità vitali. Il superamento della scarsità avverrà a un alto livello tecnologico con un saggio utilizzo delle forze produttive che saranno impegnate per creare, mentre oggi servono più che altro per distruggere. Questa visione positiva dello sviluppo tecnologico, fin dal suo articolo Verso una tecnologia liberatoria distingue Bookchin da gran parte del discorso ecologico, da un «ambientalismo» che lui critica per il suo riduzionismo tecnocratico che vede la natura come «un deposito di ‘riserve naturali’ o ‘materie prime. […] L’ambientalismo non mette in discussione la premessa basilare della società presente e cioè che l’uomo deve dominare la natura; cerca semmai di facilitare quel concetto sviluppando tecniche che riducano i rischi connessi a una spoliazione avventata dell’ambiente» .

Convivono nelle società moderne i potenziali di una società libera in un rapporto co-produttivo con la natura e la realtà di una crisi ecologica che minaccia la distruzione della base naturale della vita umana sul pianeta. Una crisi ecologica che anche molti ambientalisti vedono in modo riduttivo come un problema dei territori devastati intorno a Chernobyl e Fukushima e degli animali che muoiono nella marea nera del Golfo di Messico. Le catastrofi ambientali, causate dal DDT, dall’avaria di qualche petroliera, dall’incendio in una centrale nucleare, sono solo la punta dell’iceberg, sintomi di un rapporto uomo-natura profondamente squilibrato e distruttivo. Il problema è il funzionamento quotidiano della società industriale che rompe i cicli naturali e inverte la dinamica dell’evoluzione naturale, della storia della vita. La natura si è evoluta spontaneamente verso forme sempre più ricche, variegate, differenziate. Le società industriali riducono la spontaneità, l’eterogeneità, la diversità, trasformando l’humus in sabbia, sostituendo materiali naturali come il legno, l’argilla, la pietra con l’acciaio, il vetro, il cemento. Il peccato originale delle società industriali è di riportare indietro l’orologio dell’evoluzione, violando con interventi troppo estesi (emissione di CO2 in atmosfera) e troppo profondi (tecnologia nucleare, biogenetica) i cicli naturali. Anticipando largamente il pensiero della sostenibilità e il concetto dell’impronta ecologica Murray Bookchin non si ferma alla descrizione e alla denuncia ma cerca con grande capacità teorica di analisi e sintesi di andare alle radici della crisi ecologica.

Non solo ogni problema ecologico ha un versante sociale, ma la crisi ecologica si risolverà solo con una trasformazione profonda delle società capitaliste. La minaccia della distruzione della base naturale della vita, dell’autosterminio, ha messo all’ordine del giorno dell’umanità una società razionale ed ecologica; un sogno storico che nella nostra epoca, a causa della crisi ecologica, è diventato una necessità, ma visto lo sviluppo di tecniche potenzialmente capaci di liberare il mutamento anche una concreta possibilità.

Dall’anarchismo dell’abbondanza al municipalismo libertario

Una società ecologica post-scarcity si organizzerà in unità a misura d’uomo, arriverà alle sue decisioni attraverso una democrazia diretta basata sull’uguaglianza degli ineguali, faccia a faccia. Nella storia delle idee e della prassi politica quest’immagine ha un nome: anarchismo, l’opposizione radicale contro il dominio e la gerarchia e la riorganizzazione della società in forme comunitarie e decentrate di democrazia diretta (Bookchin parlerà più tardi di «municipalismo libertario»). Parte da Bakunin, Kropotkin e Malatesta che gli forniscono un quadro teorico e storico di critica dei tratti centralisti e gerarchici del marxismo. «Gli anarchici, o perlomeno gli anarco-comunisti riconoscono la necessità di una forma di organizzazione. Ribadirlo ulteriormente sarebbe tanto assurdo, quanto discutere se il marxismo riconoscesse o meno la necessità di una rivoluzione sociale. Il problema non è quello», scrive già in Listen, Marxist!, «della necessità o meno di un’organizzazione, bensì di stabilire quale forma di organizzazione gli anarco-comunisti volessero instaurare. Ciò che le varie forme anarco-comuniste hanno in comune è lo sviluppo organico dal basso verso l’alto, l’assenza di organismi creati e orchestrati dall’alto» .

Con questa insistenza sugli elementi anticipatori di una nuova società ecologica da costruire dentro la società classista esistente Murray Bookchin parlava al cuore della generazione di Woodstock. La sensazione che il tutto doveva cambiare trovava nell’ecologia sociale dell’anarchismo post-scarsità una coerente espressione e prospettiva. La possibilità di riorganizzare anche le società moderne complesse in unità decentrate relativamente autosufficienti che possono gestirsi in una democrazia diretta faccia a faccia nasce con lo sviluppo tecnologico che permette di produrre, come Bookchin insiste già nel 1965 in Towards a Liberatory Technology, la grande maggioranza dei beni e servizi ad alto livello tecnologico e di produttività del lavoro in unità di dimensioni contenute, collocate armoniosamente nelle infrastrutture urbane e nell’ambiente naturale.

La necessità del municipalismo libertario invece nasce dalla distruttività dell’estrema divisione globale del lavoro. «Al di là dell’assurda irrazionalità di decine di milioni di persone ammassate in centri urbani congestionati, deve necessariamente esistere, per soddisfare i bisogni umani, l’attuale spropositata divisione internazionale del lavoro? O non esiste piuttosto per procurare enormi profitti alle imprese multinazionali? Dobbiamo ignorare gli effetti ecologici dovuti al saccheggio delle risorse del Terzo Mondo, o la follia di una vita economica che dipende dalle aree ricche di petrolio» . Bookchin preconizza una «nuova rivoluzione industriale» (che qualche decennio dopo si chiamerà «Terza rivoluzione industriale») che sostituirà un apparato produttivo altamente centralizzato, obsoleto e sprecone, disegnato per buttare fuori immense quantità di robaccia di breve durata, con nuove tecnologie ecologiche che producono beni di qualità da materiali compatibili con l’ambiente. Insieme con nuove infrastrutture urbane costituiranno la base materiale per la nuova società ecologica. Un’utopia aperta e pragmatica che unisce l’ambiente naturale e costruito.

Il pensiero teorico di Bookchin riprende e rielabora i fondamenti e le articolazioni di una nuova società a democrazia diretta dalla fine degli anni Cinquanta fino agli ultimi anni della sua vita in modo sempre più dettagliato. Dopo I limiti della città segue nel 1980 Toward an Ecological Society e nel 1987 The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship che vede nel 1995 una versione rivista, From Urbanization to Cities fino a The Communalist Project . La distinzione di base che Bookchin ripropone varie volte nella sua opera è quella tra statecraft, dove il potere viene assegnato a figure professionali in un governo rappresentativo e la «politica» in senso pieno dove i cittadini mantengono il controllo diretto e partecipatorio sulla propria vita e la propria comunità. Egli è convinto che anche le società moderne possono e devono progredire in forme istituzionali di democrazia diretta, di municipalismo libertario. Blair Taylor e Debbie Bookchin sottolineano giustamente l’attualità del municipalismo libertario per il movimento Occupy, dove la democrazia diretta in assemblee generali si intende come seme che prefigura un nuovo ordine politico .

Murray Bookchin oggi

Bookchin ha avuto un grande impatto sul movimento degli anni Sessanta e come padre dell’ecologia sociale negli anni Settanta e Ottanta. Nei decenni successivi la sua voce è stata ascoltata di meno. Oggi lo leggono in pochi mentre l’aggravarsi della crisi ecologica rende il suo pensiero più attuale che mai. Una causa della sua attuale marginalità risiede nell’impostazione della propria opera come «grande teoria» rivoluzionaria universale, non solo con la pretesa prognostica di indicare le forme di organizzazione della lotta per una nuova società ecologica ma anche le sue future strutture – anarchiche prima, di municipalismo libertario poi (nell’ultimo decennio di vita insiste nel sostenere di non essere anarchico). In un’epoca post-metafisica solo pochi concedono ancora alla teoria la funzione di stimolare la prassi rivoluzionaria, di legittimarla, di controllarla e indirizzarla. Anche nell’immagine che aveva di sé Bookchin si collocava nella tradizione della grande teoria dei rivoluzionari dell’Ottocento che si rifacevano a Aristotele e Hegel, Smith e Marx.

La separazione dell’umanità dalla natura, la sua traiettoria sociale di vasta portata in una storia che ha prodotto una enorme ricchezza di spirito, personalità, conoscenze tecniche, cultura e pensiero auto-riflessivo indica il potenziale di pensiero esistente nella natura stessa, lo spirito latente nella sostanza che diventa cosciente in un’umanità che si unisce con il mondo naturale. Il tempo è arrivato per integrare una filosofia ecologica naturale con una filosofia ecologica sociale, basata su libertà e coscienza, un obiettivo che ha perseguito la filosofia occidentale dai pre-socratici in poi .

Un obiettivo nobile al quale Murray Bookchin ha risposto con un’opera ambiziosa, una filosofia sociale e politica unificata, integrata e dialettica. L’inizio di questo secolo però è caratterizzato dall’assenza di grandi teorie e per buone ragioni. Le visioni di una società post-crescita prendono la forma di una trasformazione evolutiva, di tante utopie concrete che puntano su luoghi concreti, reversibilità, tolleranza per gli errori, attenzione al dettaglio, partecipazione – un processo aperto con un esito incerto che procede navigando a vista non per implementazione di concetti teorici.

Un’altra ragione del perché si trovino poche tracce del pensiero di Bookchin nel discorso ecologico contemporaneo è il suo stile polemico che non risparmiava nessuno e nessuna . Sollecitava così le repliche tra ex discepoli diventati accaniti avversari, in ambiti settari New Age dell’ecologia profonda , e in dibattiti accademici piuttosto sterili , mentre molti suoi colleghi preferivano non rispondere perché, si potrebbe ipotizzare, mancava un terreno comune come punto di partenza per un dibattito sulle differenze.

Bookchin è poco tollerante con le visioni misantropiche di un Paul Ehrlich o James Lovelock, dove il problema siamo «noi» in quanto siamo troppi e pretendiamo troppo da questo mondo, e non ci sta neanche con il ricondurre il rapporto squilibrato uomo-natura alla nostra impronta genetica secondo i geni egoistici di un E.O. Wilson . Attacca non solo l’anti-umanesimo di molti teorici ecologici ma anche i sofismi sottesi al loro modo di ragionare, Al Gore e la sua Inconvenient Truth inclusi. Se il problema siamo «noi» tutti, a causa della natura umana o altro che sia, ne consegue poco o niente. Ma, mentre il suo attacco al lifestyle anarchism oggi non sembra di grande attualità e giustamente non interessa più , egli dimostra nelle estese controversie con i protagonisti dell’«ecologia profonda» una grande lucidità analitica, criticando senza mezzi termini un pensiero élitario, antifemminista e con pessime tendenze autoritarie e misantropiche che portano a vedere il problema nella specie umana in quanto tale, sognando una natura wilderness lasciata a se stessa come forma di rapporto ideale con l’ambiente naturale. Bookchin non solo è convinto che l’uomo deve intervenire nella natura con tecnologie ecologiche avanzate ma che questi interventi possono avere un carattere co-produttivo per entrambi.

Sull’altro versante attacca l’eco-tecnocrazia fautrice di un «capitalismo verde». La crisi ecologica che minaccia il futuro dell’umanità, insiste Bookchin, è il risultato di un modo specifico di produrre, di distribuire e di consumare. Si chiama capitalismo. Un sistema economico basato sulla realizzazione del capitale, sulla crescita continua dell’economia e la legge ferrea del grow or die. La speranza in un capitalismo «dolce» che realizza uno scambio più equilibrato con la natura in una dinamica di «sostenibilità» o nella versione radical chic della «decrescita» è naif nel caso migliore e irresponsabile da parte di coloro che dovrebbero sapere come stanno le cose. In Per una società ecologica Bookchin scrive:

La denaturazione dell’ambiente deve sempre essere vista come inerente al capitalismo, prodotto della sua legge di vita come sistema di espansione illimitata e di accumulazione del capitale. Ignorare il nucleo anti-ecologico del presente ordine sociale […] significa alleggerire la preoccupazione pubblica rispetto alla profondità della crisi e ai mezzi efficaci per risolverla.

Il capitalismo non può trasformarsi in un sistema economico che soddisfa i bisogni, che crea benessere senza dover crescere in continuo.

Parlare di «limiti della crescita» in seno ad un’economia di mercato capitalistico non ha alcun senso, così come non ne ha parlare di limiti della guerra in una società guerriera. Gli scrupoli morali cui oggi danno voce tanti ambientalisti sapientoni sono tanto ingenui quanto quelli delle multinazionali sono fasulli. Il capitalismo non può essere «persuaso» a porre un freno al suo sviluppo, così come non si può «persuadere» un essere umano a smettere di respirare. I tentativi di realizzare un capitalismo «verde», o «ecologico», sono condannati all’insuccesso a causa della natura stessa del sistema, che è un sistema di crescita continua .

I pragmatisti oggi regnano supremi e le soluzioni proposte si affidano addirittura ai meccanismi del mercato per promuovere la conversione ecologica, come nel caso dell’Emission Trading, per contrastare i cambiamenti climatici e «per non far fallire Kyoto completamente». Non è il fantasma di qualche congiura neoliberale che sta mettendo la comunità umana nei guai, sono i tecnocrati dell’ambiente e i ragionieri del potere nei partiti verdi e socialdemocratici che guidano i processi di distruzione dell’ambiente naturale e dello smantellamento dello Stato sociale.

La vera sfida del pensiero di Murray Bookchin è il suo radicalismo risoluto e penetrante. Disegna con lucidità e ampiezza di pensiero, che lo mettono tra i grandi intellettuali del Novecento, la visione di una società razionale ed ecologica. «Se nascerà mai una società basata sulla comunità, la cura, la solidarietà, se sarà soprattutto basata sulla ragione io non so», scrive Bookchin verso la fine della sua vita, ma «Le mie convinzioni sono forti come sempre» . Le convinzioni sono che la crisi nel rapporto uomo natura e la minaccia di autoestinzione hanno elevato al rango di un imperativo ecologico le visioni dei teorici anarchici e utopistici dell’Ottocento.

È più opportuno che mai salvare un’opera di grande attualità per la nostra epoca dall’autore stesso, dai suoi accoliti e avversari per reintrodurre il ricco patrimonio del pensiero teorico di Bookchin nel discorso contemporaneo su una società post-crescita capace di futuro. La minaccia dei cambiamenti climatici conferma il paradigma fondamentale del pensiero di Bookchin della centralità della questione ecologica per il futuro dell’umanità. Andy Price è riuscito a documentare la lucidità e coerenza con la quale Bookchin ha portato avanti negli anni i dibattiti con i suoi critici e di dimostrare la fondamentale validità dei suoi argomenti . Però più che riconsiderare oggi l’opera di questo grande pensatore e attivista, il compito e la chance è di svilupparla in una situazione profondamente cambiata in questi pochi anni dalla sua morte.

Tahir e Puerta del Sol, Zuccotti Park e Occupy, i Pirati in Germania e il Movimento Cinque Stelle in Italia, 350.org e altri esprimono una nuova qualità da parte di movimenti che non si basano su una coerente e comprensiva teoria, ma si costituiscono intorno a pochi concetti chiave (fuori Mubarak, Indignatevi!, Siamo il 99%, Democrazia liquida, reddito di cittadinanza, Fossil free), dimostrando una profonda sfiducia verso le grandi teorie e le figure leader. Hanno cominciato a elaborare forme di partecipazione e di decisionalità radicalmente nuove. Siti internet, twitter, facebook, streaming, blogs offrono possibilità di dibattito, mobilitazione e decisione in modo diretto e in tempo reale senza richiedere la continua presenza fisica di tutte e tutti. Soprattutto il movimento Occupy ha evidenziato in tutta la bellezza delle sue forme democratiche dal basso i limiti del voler prendere tutte le decisioni in un processo aperto, faccia a faccia.

La grande sfida oggi è di prendere atto dell’ ormai irreversibile tramonto delle grandi teorie tenendo fermo la radicalità del pensiero rivoluzionario di Bookchin. Un altro mondo non solo è possibile ma necessario, tuttavia resta da vedere quale forma assumerà il patrimonio dell’ecologia sociale e del municipalismo libertario. Le forme storiche come il town meeting saranno forse da integrare e rendere più praticabili con la possibilità di partecipazione, dibattito, mobilitazione e decisione che offrono le tecnologie digitali. In questa fase le possibili costellazioni ancora non presentano una configurazione leggibile. Lavorare su queste costellazioni sarà un compito essenziale di un’ecologia sociale che «riconsidera» Bookchin in una visione aperta verso il futuro sulla base del suo inquadramento tutt’oggi insuperato della crisi ecologica e sociale della nostra epoca.

In qualche necrologio, anche in Italia, è stato lamentato «l’incontro mancato di Bookchin con tanta parte della discussione italiana» che si spiega forse con «una radicalità ricca d’innovazione» . Ma perché questa radicalità mette paura? Per i molti che da anni l’hanno parafrasato per esteso ma lo citano poco Bookchin è una figura scomoda che conviene ignorare perché pone delle domande che rendono le proprie risposte e soluzioni tiepide e insoddisfacenti.

La radicalità di Bookchin mette paura, perché ci sono in lui delle indicazioni tanto forti quanto inquietanti che meno non si può. Nella misura in cui si stanno esaurendo le speranze in un ambientalismo moderato basato sull’«efficienza delle risorse» e sulla «decrescita felice» all’interno delle strutture esistenti e in un parlamentarismo riformista di fronte a una crisi ecologica esistenziale, la voce di questo attivista rivoluzionario troverà nei prossimi anni una crescente risonanza. Murray non mancherà all’incontro quando si tratterà di darsi da fare per la grande trasformazione verso una società ecologica.

 

 

BIOGRAFIA

 

Murray Bookchin (New York 1921 – Burlington 2006), nasce e cresce nel Bronx figlio di emigrati russi ebrei di sinistra. Entra negli anni Trenta nei Giovani pionieri prima e nella Lega dei giovani comunisti poi, per abbandonare verso la fine del decennio il Partito stalinista a favore del trockijsmo e del Socialist Workers Party. Negli anni Quaranta lavora come metalmeccanico, verso la fine della guerra con General Motors, attivo nel sindacato fino al grande sciopero del 1945/46. Nel 1949 incontra la studentessa di matematica Beatrice Appelstein, si sposano nel 1951, dal matrimonio nascono due figli, Debbie e Joseph. Il matrimonio dura 12 anni, vivono insieme per 35 anni e collaborano come stretti amici per il resto della vita. Negli anni Cinquanta Bookchin comincia a elaborare la sua visione anarchista e libertaria di una società ecologica. Attivo nel movimento per i diritti civili prima e nel Movimento degli anni Sessanta poi si afferma come fondatore dell’Ecologia Sociale con una serie di testi programmatici che escono in quel decennio e vengono raccolti nel libro cult Post-scarcity Anarchism che esce nel 1974. Nel 1971 si trasferisce con un gruppo di amici in Vermont, ambiente più consono per praticare forme di vita e di politica autogestite di democrazia diretta. È co-fondatore nel 1974 dell’Institute for Social Ecology nel nord del Vermont, dove insegna fino al 2004. Pubblica nel 1982 la sua grande opera L’Ecologia della libertà, presenta le sue idee in questi anni negli Stati Uniti ed Europa in numerosi incontri, assemblee, conferenze. A metà degli anni Ottanta inizia la sua convivenza e collaborazione con Janet Biehl, sua compagna dei prossimi venti anni. Al centro del suo lavoro di questi anni mette il «municipalismo libertario», l’elaborazione di forme d’organizzazione che permetteranno a una società ecologica razionale di funzionare con forme dirette di decisione e governo. Conclude la sua opera nei primi anni del 2000 con quattro volumi sui movimenti libertari nelle rivoluzioni europee ed americane. Muore nella propria casa a Burlington il 30 luglio 2006.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Le opere principali di Murray Bookchin

 

Our Synthetic Environment, sotto lo pseudonimo di Lewis Herber, Alfred A. Knopf, New York 1962.

Post-scarcity Anarchism, Ramparts Books, San Francisco 1971 (tr. it. di Michele Buzzi, Post-scarcity Anarchism. L’Anarchismo nell’età dell’abbondanza, La Salamandra, Milano 1979).

The Limits of the City, Harper and Row Colophon Books, New York 1974 (tr. it. di Mila Leva e Alberto Friedemann, I limiti della città, Feltrinelli, Milano 1975).

The Spanish Anarchists: The Heroic Years, 1868-1936, Free Life Editions, New York 1977.

Toward an Ecological Society, Black Rose Books, Montreal 1980.

The Ecology of Freedom. The Emergence and Dissolution of Hierarchy, Cheshire Books, Palo Alto CA 1982 (tr. it. di Amedeo Bertolo e Rossella Di Leo, L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Edizioni Antistato, Milano 1984; ried. Elèuthera, Milano 1986, 1988, 1995).

The Modern Crisis, Black Rose Books, Montreal 1986.

The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship, Sierra Club Books, San Francisco 1987. Ripubblicato con revisioni come From Urbanization to Cities, Cassell, London 1995, con l’aggiunta di The Meaning of Confederalism e Libertarian Municipalism: An Overview.

Democrazia diretta, Elèuthera, Milano 1993. Tratto da The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship, tr. it di Salvo Vaccaro.

The Modern Crisis. La crisi della modernità, Agalev Edizioni, Bologna 1988. Traduzione di Lucia Martini Scalzone.

Remaking Society: Pathways to a Green Future, Black Rose Books, Montreal 1989.

Per una società ecologica, Elèuthera, Milano 1989, Traduzione di Roberto Ambrosoli.

The Philosophy of Social Ecology: Essays on Dialectical Naturalism, Black Rose Books, Montreal 1990 (tr. it. di Michele Buzzi e Salvo Vaccaro, L’idea dell’ecologia sociale. Saggi sul naturalismo dialettico, La Palma, Palermo 1996).

Defending the Earth: A Dialogue Between Murray Bookchin and Dave Foreman, South End Press, Boston 1991.

Re-enchanting Humanity: A Defense of the Human Spirit Against Antihumanism, Misanthropy, Mysticism, and Primitivism, Cassell, London 1995.

Social Anarchism or Lifestyle Anarchism: An Unbridgeable Chasm, A.K. Press, San Francisco 1995.

The Third Revolution, Cassell, London Vol. 1 1996, Vol. 2 1998, Vol. 3 2004, Vol. 4 2005.

The Communalist Project, «Harbinger», 1, 3, 2002.

http://www.social-ecology.org/2002/09/harbinger-vol-3-no-1-the-communalist-project/

 

Alcuni testi su Murray Bookchin

 

Biehl, J., The Politics of Social Ecology: Libertarian Municipalism, Black Rose Books, Montreal 1997.

Biehl, J., Fighting for Utopia: The Life of Murray Bookchin, Oxford University Press, di prossima pubblicazione.

Castanò, E., Ecologia e Potere, Un Saggio su Murray Bookchin, Mimesis Edizioni, Udine-Milano 2011.

Price, A., Recovering Bookchin, Social Ecology and the Crises of our Time, New Compass Press, Porsgrunn 2012.

Tokar, B., On Bookchin’s Social Ecology and its Contributions to Social Movements, «Capitalism, Nature, Socialism», Marzo 2008, http://www.social-ecology.org/2008/03/on-bookchins-social-ecology-and-its-contributions-to-social-movements/

Varengo, S., La rivoluzione ecologica. Il pensiero libertario di Murray Bookchin, Zero in Condotta, Milano 2007.

White, D.F., Bookchin, A Critical Appraisal, Pluto Press, London 2008.